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Il disegno di indebolire la magistratura
di Massimo Villone da la Repubblica Napoli del 27/2/2025
L’Associazione nazionale magistrati manifesta “a difesa della Costituzione”, e contro la riforma Meloni-Nordio della giustizia approvata in prima lettura alla Camera e ora in Senato (AS 1353). Una proposta pericolosa e inaccettabile. Come ho avuto modo di ricordare nella mia audizione in Senato del 25 febbraio, i recenti attacchi scomposti e virulenti ai magistrati sono solo l’ultimo capitolo di una lunga storia. Ne ricordiamo alcune fasi. Già il Piano di Rinascita di Licio Gelli puntava a ricondurre la giustizia “alla sua tradizionale funzione di elementi di equilibrio della società e non già di eversione”. Obiettivo da raggiungere con esami psicoattitudinali preliminari, la separazione delle carriere requirente e giudicante, la responsabilità politica del ministro della giustizia per l’operato dei pubblici ministeri, la responsabilità del Csm verso il parlamento. Seguì la legge 150/2005 (Berlusconi-Castelli). Ciampi la rimandò alle Camere perché prevedeva una – ovviamente incostituzionale - funzione di indirizzo per il ministro della Giustizia. Fu emendata, mantenendo però la valutazione psicoattitudinale, la separazione delle funzioni, una rigida gerarchia nelle procure. E soprattutto una funzione disciplinare attivabile per “provvedimenti abnormi”, anche per l’interpretazione di norme e la valutazione di fatti e circostanze. Uno strumento evidentemente pensato per normalizzare il magistrato “eversore” di gelliana memoria. Poi superato dalla legge (111/2007 (Prodi-Mastella). Sopravviene infine la “riforma epocale” della giustizia di Berlusconi-Alfano (AC 4275 del 2011), con cui l’AS 1353 presenta molti tratti in comune. Qui non si discute di un banale tecnicismo di separazione di percorsi professionali. Se così fosse di riforma non vi sarebbe in realtà bisogno, perché i passaggi tra requirente e giudicante non arrivano all’1%. Troppo poco per affrontare le fatiche di una revisione della Costituzione. L’obiettivo è piuttosto indebolire la magistratura creando due corpi separati, cui sono riferiti due distinti organi di autogoverno. Si guardi alla composizone dei due Csm. Si prevede un sorteggio finto per la componente laica, reale per quella togata. La prima viene sorteggiata da una lista preliminarmente votata in parlamento. Per di più, senza alcuna garanzia per le minoranze nel meccanismo di votazione. La maggioranza pro tempore sarebbe in grado di eleggere tutta la componente laica. Che, ancorchè minoritaria, potrebbe acquisire un peso dominante essendo un blocco compatto mentre il legame dei togati con la realtà associativa sarebbe spezzato dalla casualità del sorteggio. Analoghe considerazioni possono farsi per la funzione disciplinare, estratta dagli organi di autogoverno e affidata a un’alta corte. Tutto questo ci porta una giustizia migliore? Niente affatto. Nella mia quasi cinquantennale esperienza di professore ho imparato che il migliore docente è quello che sa pensare come lo studente, perché questo contribuisce a una lezione di gran lunga più efficace. Ma perché un docente sa, o almeno può sapere, come pensa lo studente? Perché è stato studente a sua volta, e ha vissuto l’esperienza della platea che ha davanti. Allo stesso modo, non ho dubbi che il miglior requirente sia quello che sa pensare come il giudicante, e viceversa. Non la separazione, ma l’osmosi tra le funzioni darebbe ad entrambi la consapevolezza necessaria per un più efficace espletamento delle rispettive funzioni. Magari con una formazione professionale permanente attraverso tempi di alternanza nell’esercizio dell’una e dell’altra funzione. Del resto, non si trae già la consapevolezza ora richiamata come necessaria dal concetto di “ragionevole previsione di condanna” riferito al pm e al gip nella cd riforma Cartabia? La destra sulle riforme idee chiare proprio non riesce ad averle. Non avverte nemmeno il rischio che con la separazione delle carriere si vada proprio al pm sceriffo con la pistola alla cintola che certo non vuole. A meno che non ci sia il fine occulto di creare le condizioni per giungere poi a forme di controllo politico. Alla fine, bisognerà far valere in un voto referendario le ragioni della migliore Italia.
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