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RACCOLTA FIRME
L'Italia tartaruga d'Europa
di Franco Bianco
Come da suo calendario, l'Istat ha pubblicato il 12 scorso il Rapporto intitolato "Stima preliminare del Pil" (1) - la stima ufficiale della crescita annuale per il 2015 arriverà a Marzo -, che purtroppo giustifica i timori che molti nutrivano (ed avevano esplicitamente espresso) da tempo, e che si erano rafforzati dopo la lettura, di qualche giorno fa, dei dati relativi all'occupazione (2) ed alla produzione industriale (3). Recita infatti l'ultima rilevazione Istat (1): "Nel 2015 il PIL corretto per gli effetti di calendario è aumentato dello 0,6%" (poi aggiunge che "la variazione annua del PIL calcolata sui dati trimestrali grezzi è pari a +0,7% ", ma i dati "grezzi" sono quelli non 'destagionalizzati': la differenza a favore di questi ultimi sta nel fatto, come il Rapporto peraltro precisa, che "Il 2015 ha avuto tre giornate lavorative in più rispetto al 2014": con tre giorni di lavoro in più per forza il risultato è migliore. Ma non è quello statisticamente valido, perché non è omogeneo con i dati di confronto). Dunque, l'aumento reale del Pil per il 2015 è stato dello 0,6%, e per questo non c'è nulla da gioire: esso è inferiore a quello previsto dal Governo già in sede di legge di stabilità (nell'autunno 2014), e lontanissimo da quello che verso metà dell'anno, in uno dei suoi frequenti accessi di trionfalismo, Renzi era arrivato ad ipotizzare (sognando ad occhi aperti), per dare corda alla sua inarrestabile propaganda (che viene poi puntualmente smentita dai fatti): nientemeno che l'1% (uno), quasi il doppio di quello che si è poi realizzato. Ancor più preoccupante è l’andamento decrescente della crescita registrato nello scorso anno. Il Pil infatti è cresciuto di un discreto 0,4% nel primo trimestre (il che poteva lasciare ben sperare), ma già di un ridotto 0,3% nel secondo, poi di un deludente 0,2% nel terzo ed infine di un rovinoso 0,1% nel quarto: non è certo un andamento che rivela un'economia rivitalizzata e lanciata verso ambiziosi traguardi, come vorrebbe far credere la "narrazione" renziana. Se si aggiunge la riduzione della produzione industriale registrata nell'ultimo trimestre 2015 ("A dicembre 2015 l’indice destagionalizzato della produzione industriale è diminuito dello 0,7% rispetto a novembre. Nel quarto trimestre la produzione è in calo dello 0,1% rispetto al trimestre precedente", ha scritto l'Istat - vedere documento 3), il quadro complessivo assume tinte abbastanza cupe e dà giustificato adito ad interrogativi inquieti sul reale percorso che l'Italia sta compiendo. Tornando al dato di crescita annuale complessivo, la differenza fra lo 0,6% registrato e l'1% sognato (e millantato) non è roba da "quisquilie" alla Totò: sono oltre 6 miliardi di euro. Questo peggiora il rapporto deficit/Pil - essendo diminuito il denominatore - già per il 2015 (vedremo, o ce lo faranno vedere gli altri, quale valore ha raggiunto), e suona minaccioso per quel medesimo rapporto per il 2016, anno per il quale era stato ipotizzata, nella legge di stabilità, una crescita dell'1,6% - ma già tale previsione era stata ridimensionata dalla UE all'1,4%, prima che si conoscessero i dati definitivi del 2015: ora è probabile che anche quell'1,4% risulti una chimera, c'è già chi pensa (non “gufi”, come dice Renzi, ma ambienti economicamente qualificati) ad un risultato più vicino all'1%, che per il 2016 sarebbe poco meno che un disastro. Se così fosse, a quanto arriverà il rapporto deficit/Pil, e che cosa si dovrà fare per riportarlo a valori compatibili con i vincoli di bilancio? Il pericolo è quindi che si debbano effettuare delle manovre di recupero (leggasi tasse e/o restrizioni di spesa sociale). Inoltre, il risultato di crescita del 2015 e quello che, di conseguenza, si può temere per il 2016 rende peggiore anche il rapporto debito/Pil, che rischia anch'esso di farci incorrere in sanzioni da parte europea se non si interviene per correggerlo. Che vorrebbe dire (altre) tasse e/o restrizioni: comunque la si metta non sono cose piacevoli, né facilmente sopportabili. A rendere ancora più amaro il dato di bassa crescita nostrana del 2015, c'è il confronto fra il risultato italiano e quello di altri Paesi europei (c'è un rallentamento per tutti, è vero, ma non uguale per tutti: in Italia è peggiore che altrove): scrive l'Istat in proposito che "In termini tendenziali, si è registrato un aumento dell’1,9% nel Regno Unito, dell’1,8% negli Stati Uniti e dell’1,3% in Francia": quindi la crescita italiana nel 2015 è stata meno della metà di quella registrata dalla Francia, e meno di un terzo di quella ottenuta dall'Inghilterra. Non c'è veramente di che essere fieri (altro che essere "la locomotiva d'Europa"!), con buona pace delle improvvide (ed un po' patetiche) esultazioni renziane e dei suoi corifei zelanti di Governo e di Partito: sarà colpa dei "gufi", o di chi non è riuscito - leggere Renzi/Padoan &C - a mettere in piedi una politica economica capace di sfruttare le favorevolissime condizioni congiunturali - bassi costi delle materie prime e bassissimi tassi d'interesse - che potrebbero ben presto dileguarsi, lasciando così l'Italia in guai veramente grossi? Osservatori attenti (ad esempio, l'Ufficio Studi di Confindustria) hanno più volte valutato in almeno lo 0,5% la crescita del Pil dovuta unicamente alle condizioni favorevoli suddette: che cosa resta, allora, di merito ascrivibile alle politiche governative? E dunque, ricapitolando: a) Dal Prospetto 1, pag. 2 del Rapporto (1), risulta che il valore del Pil a fine 2015 è stato soltanto dello 0,5% superiore a quello di fine 2013 (con tutto "l'ambaradam" di Renzi e dei suoi, un +0,5% in due anni, roba da piangere!). Ed è ancora, ahinoi!, di più del 4% inferiore a quello di fine 2010 (!). Ci vuole una bella faccia tosta a dichiararsi soddisfatti di dati come questi (hanno il segno positivo, viene detto perfino con prosopopea: e basta questo?): si ha l'impressione di essere finiti in una trappola dalla quale non si riesce ad uscire, a parte le chiacchiere dei manovratori. Non basta "la direzione di marcia", come dicono Padoan, Renzi e compagnia cantante vantando il risultato con il segno positivo a prescindere dalla sua così modesta entità, con il classico atteggiamento di chi ha la pancia piena: conta invece, ed è anzi essenziale, anche la "velocità di marcia", perché milioni di persone (senza lavoro, precari, cassintegrati, lavoratori di aziende in difficoltà) non possono stare tranquilli ad aspettare che il treno passi anche per loro, le esigenze vitali non sono rinviabili. Chi non tiene in conto questo aspetto dà mostra di un inqualificabile cinismo. b) Per quanto riguarda la produzione industriale, il Prospetto 5 a pag. 5 del Rapporto (3) mostra che l'indice della produzione industriale a fine 2015 era di 91,4, contro un valore di 91,2 a fine 2013 (dunque un penoso +0,2% in due anni). Inoltre, se si va a guardare la distribuzione sui vari settori industriali, si vede che la massima parte della (pur modesta) crescita è dovuta al settore auto e mezzi di trasporto, mentre molti altri comparti permangono in sofferenza. Per un Paese che dall'inizio della crisi ha perso il 25% della sua capacità produttiva non sono dati confortanti: quanto tempo ci vorrà per recuperare il terreno perduto, con questi passettini così insignificanti? Il tempo non gioca a favore, ma contro (intanto che noi stiamo fermi, o marciamo lenti, gli altri se ne avvantaggiano - come in effetti avviene, e la forbice si allarga ancora di più). c) In tema di occupazione, Rapporto (2), il 2015 ha registrato un aumento di 109.000 occupati, quando i disoccupati ufficiali (coloro che non hanno un lavoro ma "lo cercano attivamente", cioè vanno ad iscriversi alle liste dei richiedenti lavoro) sono circa 2.900.000, mentre gli "inattivi" (coloro che non hanno e non cercano lavoro, in molti casi perché scoraggiati dalla difficoltà di trovarlo) sono oltre 14 milioni, ed il "tasso di occupazione" (il rapporto fra coloro che hanno un'occupazione ed il totale di coloro che sono nella fascia di età lavorativa, 15-64 anni) è soltanto del 56,4%, che è uno dei dati peggiori in Europa. Nell'UE a 28, infatti, il dato medio è di circa il 65%; quello di Francia, Inghilterra e Germania è rispettivamente il 64,3%, 71,9% e 73,8% (secondo dati Eurostat 2014, vedere Tabella 4): facendo i conti, rispetto al tasso di occupazione medio dell'UE a 28 (65%) l'Italia ha un numero reale di disoccupati (diciamo correttamente: di "senza lavoro") pari a circa 3.500.000 (non i 2.900.000 che risultano dalle statistiche ufficiali, che sono già tanti). Ma a botte di 100.000 posti all'anno - o fossero anche 200.000, a volerci credere - quanti anni occorreranno per dare una prospettiva di vita dignitosa a quei milioni di persone, prima che salti tutto per aria, muoia Sansone con tutti i filistei? Di quale "ripresa" e "ripartenza" vanno dunque blaterando Renzi ed i suoi scudieri? Costoro fanno male all'Italia, come i numeri dimostrano: meglio mandarli via, prima possibile. Prima che questa pentola sotto pressione scoppi. LINK (1) http://www.istat.it/it/files/2016/02/FLASH'15q4.pdf?title=Stima+preliminare+del+Pil+-+12%2Ffeb%2F2016+-+Testo+integrale+e+nota+metodologica.pdf (2) http://www.istat.it/it/files/2016/02/Occupati-e-disoccupati'dicembre'2015.pdf?title=Occupati+e+disoccupati+%28mensili%29+-+02%2Ffeb%2F2016+-+Testo+integrale+e+nota+metodologica.pdf (3) http://www.istat.it/it/files/2016/02/IPI122015.pdf?title=Produzione+industriale+-+10%2Ffeb%2F2016+-+Testo+integrale+e+nota+metodologica.pdf (4) http://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/File:Employment'rate,'age'group'15%E2%80%9364,'2004%E2%80%9314'(%25)'YB16.png
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