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Intervista a Villone: "Il referendum non si ferma ma la Lega ha perso la sua battaglia"
di Antonio Troise da il Quotidiano del Sud del 16/11/2024
E' un giorno migliore di quello di ieri. La Consulta ha fatto il suo dovere”. Massimo Villone, ex senatore del Pd, uno dei massimi esperti in Italia di diritto costituzionale e fin dalle prime battute strenuo oppositore della riforma Calderoli, tira un respiro di sollievo. “Ho sempre pensato che fosse improbabile un’abrogazione totale. Non sarebbe stata giustificata: in fondo la Calderoli è una legge di attuazione di una norma costituzionale”. Però, anche se parziale, la Corte ha usato più l’ascia che il bisturi per fare a pezzi la legge. Non le sembra? “Dobbiamo aspettare la pubblicazione della sentenza. Ma già il comunicato, molto lungo e dettagliato, dà un segnale molto forte. Nel complesso, si cancellano nell’Autonomia differenziata in stile leghista, gli elementi di più chiara incompatibilità con il regionalismo disegnato in Costituzione. Anche per questo a gennaio avevo proposto che alcune regioni avanzassero ricorso in via principale contro la legge Calderoli, allora ancora in discussione”. Il verdetto è stato anche veloce. Non è un segno anche questo? “Si, la Camera di Consiglio è stata aperta e chiusa nel giro di pochissime ore. Segno che i giudici avevano già parlato o discusso la questione in precedenza e che, in qualche modo, la decisione era già matura. Significa anche che non ci sono stati contrasti significativi fra i giudici. Questo non vuol dire che ci sia stata unanimità. Qualche difensore dell’autonomia, in seno alla Corte, probabilmente c’è ancora”. Sono sette i punti contestati. Quali quelli più importanti? “La cosa che mi colpisce è che la Corte non solo pronuncia una dichiarazione di illegittimità su specifici punti. Ma fa anche dichiarazioni più ampie, dà una lettura sistematica dell’assetto costituzionale all’interno del quale deve muoversi la riforma. Incide in profondità sulla legge 86, ad esempio toccando per molteplici versi i Lep, o specificando che la devoluzione non può essere per materie o ambiti di materie, ma solo per puntuali funzioni e deve essere giustificata per la singola regione. Si nega, in particolare, che l’art. 116 comma 3 possa tradursi in uno shopping nel supermercato delle competenze come vorrebbero i leghisti”. Anche per evitare la spaccatura del Paese? “Questo bene si coglie anche dalle affermazioni di principio sulla corretta interpretazione della norma, che deve rimanere nell’ambito “dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio”, e nel distribuire le funzioni deve comunque osservare il principio costituzionale di sussidiarietà”. Questo ci dice anche in prospettiva a che cosa deve guardare il legislatore. La regione non può dire che si può prendere una funzione perché le piace ma deve anche dimostrare che si tratta di una scelta congrua”. Una sorta di analisi di impatto? “Si va in quella direzione”. Il ministro Calderoli minimizza, dice che in fondo non è successo nulla e che l’autonomia andrà avanti lo stesso. Sarà così? “Penso che sia solo teatro, al suo posto farei la stessa cosa per non perdere la faccia. In fondo, è il ministro che si è impegnato ed esposto di più. Ma non so davvero come possa pensare di poter andare avanti lo stesso. Da quello che leggo, non si può far finta di nulla. Sono tante le parti colpite dalle dichiarazioni di illegittimità. Se fa delle intese che prescindono da quei giudizi di incostituzionalità rischia di veder bocciati gli accordi una volta arrivati in Consiglio dei ministri o in Parlamento. Senza contare che potrebbero essere impugnati anche dai singoli cittadini sulla base della sentenza della Corte”. Però alcune trattative sono già in corso... “Devono essere fermate. Insistere sarebbe una inutile fuga in avanti. Non a caso, la Corte ci ricorda la sua competenza anche per le leggi approvative di singole intese. Qui rileva che la sentenza comprende una parte di lettura “costituzionalmente orientata”, che senza giungere a una dichiarazione di incostituzionalità, comunque indica le linee costituzionalmente conformi da seguire nell’attuazione dell’art. 116 comma 3”. Che fine faranno i referendum? “Il comitato promotore non ha alcun potere di ritiro o di rinuncia. Se la legge fosse stata dichiarata interamente illegittima, il referendum verrebbe meno in quanto privo di oggetto. Ma non si può trarre il medesimo effetto da un accoglimento parziale, a seguito del quale la legge sopravvive. Quindi il percorso referendario prosegue, e bisogna continuare nella vigilanza e nell’impegno sul territorio. Potrebbero cadere i quesiti parziali, laddove abbiano ad oggetto norme dichiarate illegittime. Sul punto dovrà comunque pronunciarsi la Corte di cassazione”. Ma non sarebbe meglio fermare la macchina referendaria? In fondo, portare 25 milioni di italiani a votare non sarà una passeggiata... “Non posso decidere, anche se faccio parte del comitato promotore, per 1 milione e trecentomila italiani che hanno firmato per il referendum. Il comitato è solo un interlocutore della Corte di Cassazione. Anche per questo ho sempre pensato che il ricorso fosse una strategia necessaria da aggiungere al referendum abrogativo. La dichiarazione di illegittimità costituzionale colpisce non solo la legge Calderoli ma anche tutte le successive applicazioni. Una volta cancellata la riforma dell’Autonomia, sarebbe stato sempre possibile tornare alle intese previste dall’articolo 116. Ora tutto questo diventa più difficile. E, in più, il referendum è servito a mobilitare l’opinione pubblica su un tema così importante. Vedremo che cosa deciderà ora la Cassazione”.
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