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Ricorso alla Consulta: Il Pd non abbia remore
di Massimo Villone da il Fatto Quotidiano del 20/7/2024
Alla pattuglia delle regioni che si avviano verso la ricbiesta di referendum si è aggiunta la Sardegna. Siamo vicini alle cinque prescritte dall'art. 75 della Costituzione. Rimane l'errore del secondo quesito abrogativo parziale e assai limitato, di cui ho già scritto su queste pagine. Potrebbe ancora essere corretto. E in ogni caso già parte la raccolta delle 500.000 firme sul quesito totalmente abrogativo. Un percorso difficile. Ma una campagna referendaria è utile a mobilitare e creare nel paese consapevolezza su un tema per anni sottratto a un adeguato vaglio nelle sedi istituzionali appropriate e nell'opinione pubblica. Il dibattito sulla legge Calderoli lo ha portato alla luce. Le reazioni talvolta scomposte della destra confermano che il referendum è mossa efficace. Le difficoltà, però,sono reali. Per questo il vero paracadute per l'opzione referendaria è il ricorso in via principale alla Consulta da parte di una o più regioni. Non ci si può aspettare che l'impugnativa venga da regioni governate dalla destra. Ma quelle che fanno riferimento a forze di opposizione potrebbero - e dovrebbero - attivarsi. Pare che ci siano perplessità, per il rischio di un rigetto del ricorso. Un'obiezione singolare. Il Servizio studi della Corte costituzionale ci informa che nel 2023 il giudizio in via principale ha dato luogo a oltre il 30% delle pronunce. Negli anni ha superato il 47% (2012), il 45% (2013), il 40% (2015 e 2021). Vogliamo davvero credere che questo turbinio di carte bollate ceda ora alla paura di un rigetto? Cerchiamo di essere seri. Non si fa ricorso perché alla fine si vuole mantenere quel che c'è: la legge Calderoli. Magari, non si può dire. Dalle ultime notizie - non confermate – Puglia e Campania sarebbero orientate per il ricorso. Non così Emilia-Romagna e Toscana. Che ci siano dubbi anche nelle forze di opposizione lo sappiamo. Colpisce ad esempio la notizia che il segretario Pd di Trento non intende raccogliere le firme per il referendum. Quanto al ricorso, va segnalato ai dubbiosi che alla Corte costituzionale si arriverà comunque, prima o poi. Il concetto stesso di autonomia differenziata apre a una conflittualità non più tra Stato e regioni, ma tra regioni. La lettura leghista ed estrema dell'art. 116.3 introduce un semi-federalismo competitivo che massimizza la prospettiva di interessi perseguiti da una regione in danno di altre. Il punto è stato già evidenziato da Occhiuto (Calabria) per il commercio con l'estero, e da De Luca (Campania) per quanto riguarda i contratti integrativi di scuola e sanità. Gli esempi potrebbero essere numerosi. E' ovvio che spacchettando lo Stato al conflitto con il centro si affiancherà un conflitto con i nuovi titolari della potestà normativa e amministrativa, e cioè le regioni. Che arriverà in Corte costituzionale come ricorso in via principale di una regione contro le leggi di altre regioni, o come conflitto di attribuzione contro atti amministrativi di attuazione di quelle leggi. Nel caso qualcuno non voglia vedere l'ovvio, si potrà aggiungere che si arriverà in Corte anche in via incidentale. Con il consolidarsi o l'acuirsi dei divari territoriali e delle diseguaglianze prima o poi chi avrebbe diritto a una prestazione da parte di un soggetto pubblico e non la riceve adirà un giudice. E prima o poi quel giudice solleverà una questione di legittimità davanti alla Consulta. Tutto questo rimane vero anche una volta concessa la maggiore autonomia con legge a maggioranza assoluta ai sensi dell'art.116.3. E allora la domanda è: non è meglio per tutti cominciare a saggiare subito, prima di picconare gli apparati pubblici, la compatibilità costituzionale dell'innovazione che si vuole introdurre? Meglio un ricorso contro la legge Calderoli oggi che una babele amministrativa e giudiziaria domani. Il ricorso è un servizio reso al paese. Sui possibili contenuti torneremo in una prossima puntata. E tutto vale anche nel caso di una macroregione in base all'art. 117.8 della Costituzione. Per alcuni uno scenario irrealistico. Ho già citatola personale propensione di Calderoli nell'AS 7 del 2013. Aggiungo che nel dibattito sulla riforma Berlusconi-Bossi del 2005 - poi respinta dal voto popolare - un emendamento del relatore (e quindi la maggioranza: 11.0.200, I Comm. Senato, 13.01.2004) propose un'assemblea di coordinamento pluriregionale. La proposta cadde, ma segnalò una corrente profonda. Oggi, non è irrilevante che Lombardia, Veneto e Piemonte guardino nell'immediato e all'unisono a materie come commercio con l'estero e rapporti con l'Ue. Paolo Mieli mi addebita sul Corriere della sera quel che si può definire un eccesso di immaginazione. Rispondo con l'antica dottrina che a pensar male si fa peccato ma si indovina. E confesso di essere un peccatore incallito.
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