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L’8 e 9 giugno il Sud si gioca il suo futuro
di Massimo Villone da la Repubblica Napoli del 5/6/2024
Ha ragione Giuseppe Ossorio quando stigmatizza su queste pagine i toni da rissa che connotano oggi il confronto politico, lontanissimo dalla formale correttezza di un tempo. Da ultimo, si è aggiunto l’attacco a Mattarella, a seguito di una esternazione in cui ha fatto riferimento alla sovranità europea, e alla Costituzione “saggia e lungimirante”. Il leghista Borghi si è spinto a chiederne le dimissioni. Qualcuno dovrebbe spiegare a Borghi, e a chi – come Salvini – ne ha tentato una flebile difesa – che la sovranità Ue non è invenzione di Mattarella. Esiste perché l’Ue nasce da trattati, che sono per definizione una rinuncia a parte – piccola o grande che sia – della sovranità nazionale. Con quale strumento, secondo i Borghi di turno, l’Italia può consentire “alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni” (art. 11 Cost.)? Appunto, i trattati. Che poi siano bene o male gestiti, è altra questione. Ma la cessione di sovranità non si discute. La scomposta reazione da destra contro Mattarella forse la capiamo meglio se guardiamo non al punto – inesistente - della sovranità Ue, ma a quello della Costituzione “saggia e lungimirante”. Due parole che condannano la strategia riformatrice della destra, collocandola tra le scelte inutili e potenzialmente dannose. A partire dalla madre di tutte le riforme, secondo il Meloni-pensiero, perseguita con palese voglia di scontro referendario, sia pure con il dilemma nel caso di sconfitta nel voto popolare: si dimette o no? Da ultimo, pare di no. Che ci sia viscerale intolleranza a destra verso chi si permette di avanzare dubbi, critiche o censure è provato. Al cardinale Zuppi, presidente della Cei, che aveva osato consigliare prudenza sul premierato, Meloni in persona dà una risposta che si classifica da sgarbata a sprezzante: come si permette di criticare, quando il premierato non tocca il rapporto tra Stato e Chiesa? E, soprattutto, quando lo Stato del Vaticano non è una repubblica parlamentare, e nessuno se ne preoccupa? Toni esasperati, tanto che la stessa stampa di destra ha contribuito a gettare acqua sul fuoco (il Giornale, 3 giugno). Ma non si potrebbe essere più lontani dal clima forbito e rispettoso cui si riferisce Giuseppe Ossorio. Uno scenario che in qualche misura oggi anticipa l’Italia che la destra al governo punta a costruire, in cui l’avversario è messo nell’angolo. O con i manganelli, come per gli studenti, o con le invettive, le pressioni, le censure, come per i politici, gli intellettuali, i giornalisti. Ovvero, per tutti, con le riforme, azzerando o indebolendo gli organi di garanzia, e costruendo un parlamento asservito al primo ministro eletto dal popolo. Ecco la “capocrazia” in stile orbaniano. Il clima di rissa è certo influenzato dall’avvicinarsi del voto. Ma riflette anche un conflitto tra progetti alternativi per l’Italia e l’Europa. Purtroppo, il fracasso mediatico è l’elemento che più di altri toglie visibilità ai progetti politici, se ci sono. Vincono gli slogan che corrono sui social. Cosa significa, ad esempio, per Giorgia Meloni, che l’Europa deve fare meno e meglio? L’Europa che lei vuole avrebbe dato all’Italia i miliardi del Pnrr? E se vincessero nel voto i sovranismi avremmo forse sconti nelle strettoie di finanza pubblica per cui Giorgetti vorrebbe cambiare mestiere? L’esito ultimo potrebbe essere un aumento, da più parti temuto, dell’astensione. È in specie possibile – come avverte D’Alimonte su questo giornale – al Sud. Capiamo bene che proprio nel Mezzogiorno possa manifestarsi la generalizzata sfiducia nella politica che è alla base del non-voto. Se chi vive in queste terre avverte come definitiva la condanna alla serie B, con minori diritti, opportunità di lavoro, qualità di servizi, perché votare? A chi pensa al non-voto vogliamo dire in chiaro: è un errore. Nel voto dell’8 e 9 giugno decidiamo quale Europa, ed è una scelta che interessa molto al Mezzogiorno. Ma decidiamo anche quale Italia, e a quale futuro il Sud può puntare, se di subalternità e diseguaglianza in un paese diviso dall’autonomia differenziata già ai blocchi di partenza, o di pari dignità in un paese unito come vuole la Costituzione. E se il Sud disertasse in massa le urne ne verrebbe sminuito nel ruolo e nel peso politico negli anni difficili che ci aspettano. I meno giovani ricordano l’esortazione dei partiti di un tempo che non un voto andasse perduto. Vale ancora. E votare bene è l’unico modo che i rappresentati hanno di dimostrare che sono migliori dei rappresentanti.
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