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La destra e le riforme, ognuno per sé e ingiustizia per tutti
di Massimo Villone dal Manifesto del 9/5/2024
Se mai avessimo avuto necessità di prove contro l’autonomia differenziata, le avremmo dal ciclone giudiziario che in Liguria ha colpito Toti e altri personaggi eminenti. A quanto sentiamo, la difesa di Toti è che l’erogazione dei contributi all’attività politica e i provvedimenti assunti nell’esercizio delle funzioni hanno pienamente osservato le regole. Dunque, tutto perfettamente legale. Ma è una difesa che non dissipa dubbi e sospetti. Il prosieguo farà chiarezza su chi ha fatto cosa, come e perché. Ma intanto si coglie che un “governatore” non dovrebbe chiedere o accettare denaro da imprenditori destinatari di provvedimenti che sono sulla sua scrivania. Questo è vero a prescindere dalle intercettazioni, che peraltro meritano una riflessione a parte. Nordio, che in quanto ministro della giustizia avrebbe fatto meglio a tacere, ha espresso perplessità. Abbiamo appreso, da una trasmissione TV serale, che lo stesso Nordio, nella inchiesta Mose (che fu un fiore all’occhiello del suo tempo come pubblico ministero) dispose intercettazioni per centinaia di migliaia di ore. Se abbiamo capito male ci scusiamo. Se no, vediamo che il Nordio di oggi non gestirebbe l’inchiesta ligure come il Nordio di allora. Anzi, nella giustizia che il Nordio di oggi vorrebbe quell’inchiesta sarebbe probabilmente impossibile. Certo, tutti hanno il diritto di cambiare idea. Il punto è perché si cambia. Il ciclone ligure ci ricorda che l’autonomia differenziata aggiungerebbe a quelle esercitate oggi dai “governatori” molte altre funzioni, in prospettiva – oltre che per le sempre citate sanità e scuola – anche su infrastrutture, porti, aeroporti, ferrovie, autostrade. Funzioni sulle quali, a quanto si sa, la Regione Liguria ha posto da tempo l’attenzione. Secondo un’antica – non troppo – saggezza, a pensar male si fa peccato, ma si indovina. In ogni caso la marcia delle riforme procede in velocità, con i compari di governo strettamente abbracciati. A quanto pare, a Palazzo Chigi la fiducia reciproca è fuori catalogo. Il 22 si votano gli emendamenti alla Camera, e – calendario alla mano – è prevedibile che si arrivi al voto finale dopo le europee. Probabilmente, vedremo una stretta per chiudere sugli emendamenti e mantenere il testo Senato, evitando la navetta. Dopo, è già annunciato l’immediato avvio della trattativa sulle intese, che – salvo imprevedibili sconvolgimenti – ci sarà qualunque sia il risultato delle europee. Il premierato è in aula in Senato, e per l’intervento in massa delle opposizioni nella discussione generale potrà giungere al voto sugli emendamenti in simultanea con la Camera. I volenterosi e/o responsabili hanno messo insieme alcune Fondazioni con l’obiettivo di una riforma condivisa, prospettando in specie il ballottaggio. Che però non assicura l’elezione – secondo il Meloni-pensiero – del capo del partito maggiore nella coalizione che ha più voti (allo stato, la stessa Meloni). Un ballottaggio comunque consente che il voto dei perdenti nel primo turno converga sul secondo dei contendenti. Si può anticipare un esito infausto. Anche l’ultimo emendamento del governo sulla cessazione dalla carica del premier cambia qualche parola lasciando tutto uguale. Curiosamente, anche l’attuale testo rende possibile un ribaltone. Non era la bestia nera della destra? Il passo del premierato in prima deliberazione si allinea all’autonomia che va all’approvazione definitiva. Si conferma che la querelle prima/dopo il voto europeo è solo competizione tra compari di coalizione per grattare il fondo delle urne Ue. Non cambia la sostanza. Mentre l’unità della Repubblica è a grave rischio nel negoziato che parte dopo il voto UE, e che si svolge essenzialmente tra il ministro Calderoli e gli esecutivi regionali. Non è un caso che Calderoli, in replica nella discussione generale (Camera dei deputati, 29 aprile), giunga a diffidare – pur senza nominarla – Giorgia Meloni dal limitare il negoziato a tutela dell’unità giuridica ed economica e delle politiche pubbliche prioritarie, come potrebbe per l’art. 2.2 dell’AC 1665. E la giustizia? Siamo ancora alle anticipazioni e/o illazioni: separazione delle carriere, due CSM, alta corte, fine dell’obbligatorietà dell’azione penale. Diciamo subito che in specie su quest’ultimo punto bisognerà scendere in trincea. Questo non per la difesa nostalgica della Costituzione più bella del mondo. Ma perché sarebbe la certificazione che la destra punta al paese più brutto del mondo.
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