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La sanità non è uguale per tutti
di Massimo Villone da la Repubblica Napoli del 9/2/2024
Il rapporto Svimez su “Un Paese, due cure”, di cui questo giornale ha dato ampiamente conto, ci dice quello che sapevano già, perché tanti nel Mezzogiorno il problema lo hanno vissuto e lo vivono sulla propria pelle. Nel Mezzogiorno è più difficile nascere e avere cura della propria salute. Mentre è più facile morire, a qualunque età, donne, uomini, bambini. E tra le regioni la Campania si colloca in bassa classifica. Il punto è che il diritto alla salute si garantisce con una infrastrutturazione sanitaria adeguata, disponibilità di attrezzature, di medici, di infermieri. E nel quadro di un insufficiente finanziamento del servizio sanitario nazionale, che vede in rapporto al Pil l’Italia in ritardo rispetto ai paesi europei a noi comparabili, troviamo deficit accentuati nel Sud, dal numero dei posti letto a quello degli infermieri. E qui bisogna esser chiari. Non si può risolvere tutto nella chiave della responsabilità di amministratori incapaci. Certamente è un dato che pesa, e che i cittadini meridionali devono far valere. Ma può funzionare davvero se la linea di partenza è uguale per tutti. Come si può contestare senza se e senza ma la responsabilità di qualcuno se parte con un handicap negativo? Il diritto alla salute dipende dal codice di avviamento postale. E lo stesso vale per altri diritti fondamentali che si esercitano attraverso servizi come l’istruzione o il trasporto. Richiedono un solido quadro di riferimento che non si costruisce in sedi di concertazione come la Conferenza Stato-Regioni. Ad esempio, è vero o no che proprio in quella sede sono maturate le condizioni che vedono la Campania sottofinanziata per la sanità, per il riferimento prevalente al parametro dell’anzianità della popolazione, e la marginalità del parametro della deprivazione sociale e del bisogno di cura? I divari territoriali richiedono politiche nazionali perequative che solo le istituzioni statali possono porre in campo e attuare. Così, l’obiettivo di rafforzare la infrastrutturazione sanitaria del Mezzogiorno può venire solo da scelte maturate in parlamento e nell’esecutivo nazionale. Lo stesso per la scuola, le ferrovie, le autostrade, i porti, gli aeroporti, l’accesso a internet, la digitalizzazione. Per questo colpisce che su tutti questi settori – e non solo - si appunti la bulimia competenziale delle regioni nell’autonomia differenziata. Il vero nucleo incomprimibile, da difendere a spada tratta non sono tanto i Lep, che sono - ormai è chiaro - un miraggio per i creduloni. È proprio la capacità di produrre le politiche nazionali necessarie non solo alla tutela dei diritti dei cittadini, ma all’efficienza del sistema paese. Se c’è un appunto che si può fare al rapporto Svimez è che la raffigurazione del tema è inadeguata. Non due cure, ma ventuno: cinque regioni speciali, di cui una divisa in due province, e quindici regioni ordinarie. E questo vale anche per tutto il resto. Un paese arlecchino, come si è detto. Un’Italia di signorie – i presidenti di Regione – e principati. Bene hanno fatto gli on. De Luca e Sarracino il 7 febbraio a interrogare il ministro Salvini in question time sul taglio di 3,5 miliardi dal fondo per la perequazione infrastrutturale, e sulle intenzioni del governo quanto ai rimedi. La risposta del ministro è che non si intende affatto rimediare: “Le risorse del Fondo sono salvaguardate dall’insieme dei provvedimenti normativi che il Governo sta portando avanti” per superare i divari territoriali figli “del centralismo, e non sicuramente dell’autonomia”. Come dire che il taglio c’è, rimane, e i divari si affrontano nelle politiche generali dell’esecutivo. Fosse vero, un plauso. Ma è un falso clamoroso. Bisogna affermare il principio - fondato anche nel complessivo assetto costituzionale del rapporto Stato-Regione - che vanno messe a fuoco le situazioni in cui il paese deve parlare con una voce sola, evitando la cacofonia degli interessi localistici. Non basta l’argine debolissimo che il ddl AC 1665 Calderoli introduce (art. 2.2) con il presidente del Consiglio che vieta la trattativa sull’intesa con la singola Regione per questa o quella materia. Il diniego darebbe solo una responsabilità politica se fosse disatteso, e potrebbe essere comunque superato dalla legge approvativa dell’intesa. Il presidente Zaia avrebbe voluto una legge veneta sul fine vita. L’intento politico poteva essere apprezzabile. Ma vogliamo una conferma che anche la morte dipende dal codice di avviamento postale? Pur dopo il rapporto Svimez vogliamo ancora pensare che almeno la morte sia una livella.
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