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La terza Repubblica tra autocrazia e trovate vintage
di Massimo Villone dal Manifesto del 5/11/2023
La «madre di tutte le riforme» ha finalmente visto la luce. Ma porterebbe una notte fonda sulla Repubblica. È una riforma pensata male e scritta peggio. Sostanziale azzeramento dei poteri del capo dello stato per quanto riguarda la vita del governo e lo scioglimento anticipato. Rapporto fiduciario, ridotto a vuoto simulacro in cui si realizza una presa d’atto automatica e coatta dell’esito elettorale. I fan affermano che la riforma restituisce potere agli elettori. Ma paradossalmente li riconosce come cittadini il solo giorno del voto, e li rende sudditi e subalterni per i successivi cinque anni. Uno sfascio. Per fortuna concede qualche momento di ilarità. Meloni celebra la terza Repubblica del futuro tornando a meccanismi vintage. Si prevede infatti (art. 4) che il premier eletto possa essere sostituito da altro «parlamentare che è stato candidato in collegamento al Presidente eletto, per attuare le dichiarazioni relative all’indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il Governo del Presidente eletto ha ottenuto la fiducia». È una costituzionalizzazione del «patto della staffetta». Correva l’anno 1986. Craxi si dimise il 27 giugno e fu nuovamente nominato con l’impegno a dimettersi per cedere Palazzo Chigi a un democristiano nel marzo 1987. Avrebbe dovuto essere Andreotti. Non funzionò, e fu mare grosso nella politica italiana, fino alla mancata fiducia al VI governo Fanfani e allo scioglimento del 1987. Il patto della staffetta non fu una best practice della politica italiana. Tuttavia, è probabile che con la riforma proposta diventi clausola di stile, esplicita o implicita, negli accordi, quanto meno nel caso – assai probabile – di governi di coalizione. L’azionabilità della clausola sarebbe data dallo scioglimento anticipato sostanzialmente nelle mani di ciascuno dei partner. Se la riforma fosse oggi vigente, vedremmo o no un match Salvini vs Meloni? Si dissolvono gli obiettivi di stabilità, governabilità, efficienza. Ancor peggio considerando che il «tutti a casa» sarebbe consentito anche a piccoli manipoli di guastatori parlamentari per un personale tornaconto, o per equilibri interni di partito. Perché, poi, rafforzare il governo? È già largamente dominus dell’agenda parlamentare per i tempi e i contenuti. Il profluvio di decreti-legge è ininterrotto, il superamento della navetta con l’approvazione in una camera con presa d’atto senza emendamenti nell’altra è consolidata, la tempistica dei lavori è decisa secondo le esigenze della maggioranza. All’opposizione può essere impedito l’ostruzionismo, a partire dagli emendamenti. Non c’è da rafforzare alcunché. Quanto all’efficienza della decisione, lentezze e ritardi derivano da contorsioni e turbolenze interni alla maggioranza, come ad esempio è accaduto per la legge di bilancio. O quando accade che il Consiglio dei ministri approvi «salvo intese», deliberando quindi su una scatola almeno in parte vuota. Essendo questa la vera causa di fragilità e ingovernabilità, niente della riforma proposta pone rimedio. Il segno qualificante della radicale e stravolgente innovazione che si vuole introdurre può essere ricondotto allo scivolamento verso forme di autocrazia di cui si discute negli studi sulla crisi delle democrazie nell’attuale momento storico. Una direzione che nella riforma proposta trova il suggello ultimo nella costituzionalizzazione di un sistema elettorale maggioritario con premio addirittura definito numericamente. La maggioranza ha investito molto su questa riforma, che dovrebbe secondo Meloni andare «di pari passo» con l’autonomia differenziata. Non ci sarà un ravvedimento operoso. È allora essenziale rendere chiaro fin d’ora che si punta a un referendum proposto da un quinto dei parlamentari ai sensi dell’art. 138 della Costituzione. La coalizione di governo non ha i due terzi dei voti che impedirebbero il pronunciamento popolare. E la prevedibile accusa di essere responsabili di avere tolto la parola al popolo può essere un deterrente per i pellegrini che volessero prestare qualche voto alla maggioranza. Cambiare si può e si deve, ma tenendo ben fermo l’obiettivo di attuare pienamente la Costituzione che la destra vorrebbe rottamare e consegnare alla storia. Già due volte il popolo italiano l’ha difesa con successo, e siamo orgogliosi di aver fatto allora la nostra parte. Siamo di nuovo pronti. Il messaggio alla destra è: chi tocca la Costituzione può solo farsi male.
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