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Fuga tardiva dalla trappola del ministro
di Massimo Villone dal Manifesto del 5/7/2023
Sette in meno Il Comitato per i livelli essenziali delle prestazioni (Clep) è stato scosso da una raffica di abbandoni eccellenti. Hanno lasciato la compagnia (in ordine rigorosamente alfabetico) Amato, Bassanini, Finocchiaro, Gallo, Paino, Scoca, Violante. La loro presenza aveva sollecitato la orgogliosa dichiarazione del ministro Calderoli di avere messo in piedi la sua mini-Costituente. Per lui, la rappresentazione della paternità di una nuova Costituzione per una nuova Italia. Ma, in fondo, solo una stepchild adoption dalla prima Repubblica. Certo, l’accettazione dell’invito di Calderoli aveva suscitato qualche sorpresa, e magari sconcerto. Non tanto per i ruoli di grande prestigio ricoperti in passato dagli interessati, quanto per l’evidente strumentalità della chiamata da parte del ministro. Era del tutto ovvio che nella situazione data, laddove avrebbero dovuto le opposizioni far emergere contraddizioni nello schieramento di maggioranza, il ministro puntava a un obiettivo esattamente opposto. Tra l’altro con l’effetto collaterale di consolidare la mordacchia messa al parlamento, palesemente il luogo che il ministro più di ogni altro voleva e vuole evitare. Una richiesta abile e politicamente sensata di Calderoli, che è stato piuttosto ingenuo non respingere esplicitamente. La scelta di scendere dal carro in corsa è del resto nell’interesse dei partenti. Nel copione scritto da Calderoli con la consueta lucidità politica era infatti evidente che il regista dell’operazione è lo stesso ministro, che si appoggia per consolidare la sua posizione al ceto politico regionale e in particolare alla lobby dei presidenti. L’aiuto regista è Cassese, indubbiamente in grado di offrire un sapere tecnico di pregio che si è volto, a quanto si legge da ultimo, alla riduzione dei Lep a livello dei singoli ministri. Il che, per qualcosa che parte dalla potestà legislativa esclusiva dello stato, è davvero un bell’andare. Dopo il regista e l’aiuto-regista, non possono esserci mattatori e prime donne. Alla fine, ci si confonde nella cacofonia delle voci e dei documenti, in cui ci si illude che il destino di un paese si giochi sull’aggiunta di una parola o di una frase. Supponiamo poi che la saggia decisione di abbandonare sia stata sollecitata non da astratte contrapposizioni di schieramento, ma dall’acquisita consapevolezza che i Lep sono in realtà una scatola vuota, ed anzi uno specchietto per le allodole. Questo si direbbe oggi indiscutibile, dopo la documentazione consegnata in occasione delle audizioni presso la prima commissione affari costituzionali del senato, in specie da Bankitalia e Ufficio parlamentare di bilancio. Non è più possibile ignorare – ma ben si sapeva da tempo – che non vi siano oggi, e prevedibilmente non vi saranno in futuro, le condizioni perché i Lep possano essere efficacemente implementati come strumento di riduzione di divari e diseguaglianze, e non rimangano scritti solo sulla carta. Che rimane allora? Una frammentazione del paese attraverso la pesca miracolosa di funzioni in quelle 500 e più che lo stesso Calderoli certifica come trasferibili alle regioni, senza escludere quelle strategiche per il sistema-paese. Non è irrilevante la lettura del dossier di diritto comparato elaborato dal suo ministero che definisce come particolarmente interessante il modello spagnolo delle comunità autonome. Un modello che secondo una lettura ha favorito la fallita secessione della Catalogna. E che lo stesso ministro Calderoli avanzava come proposta nel 2012, per passare poi nel 2013 a una autonomia differenziata da attribuire alle regioni che avessero dato vita a una macroregione. La scossa indubbiamente data dalle dimissioni al Clep e al disegno del ministro dovrebbe rendere Giorgia Meloni consapevole che la battaglia sulle istituzioni è già in corso, qui e ora. Non può illudersi, in specie, che un’Italia frammentata dall’autonomia differenziata sia poi unificata da un premier più forte. Per l’ovvio motivo che l’autonomia differenziata svuoterebbe di poteri, funzioni e risorse palazzo Chigi, oltre che Montecitorio e Palazzo Madama. Se poi si formasse una macroregione a dominanza leghista attraverso l’articolo 117 comma 8 della Costituzione – obiettivo tecnicamente possibile – qualunque premier diverrebbe una costosa superfetazione istituzionale. Coerente espressione di un partito che sarebbe a quel punto casa di patrioti macroregionali.
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