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Il sogno leghista di un'Italia a pezzi
di Massimo Villone dal Manifesto del 21/6/2023
La memoria Bankitalia consegnata il 19 giugno per le audizioni sul disegno di legge Calderoli sull’autonomia differenziata (AS 615) consegna, pur con linguaggio forbito e persino felpato, perplessità e critiche. Non lontane nella sostanza a quelle già svolte da molti auditi, che richiamano i rischi per il sistema paese. Se si realizzasse appieno il modello Calderoli, il vestito di Arlecchino sarebbe troppo sobrio per l’Italia. Ventuno pezzi (quindici regioni ordinarie, cinque speciali di cui una divisa in due province) in cui ogni pezzo tratta in stile simil-privatistico con il governo un proprio regime giuridico ed economico, su un ambito vastissimo di materie e relative funzioni (oltre 500 secondo un dossier dello stesso ministro Calderoli). In sé considerato, un disegno demenziale. Ma forse c'è altro. La Lega secessionista degli anni ’90 ha pesato sulla genesi del Titolo V del 2001, anche per la possibilità di una autonomia differenziata. Una prima ipotesi è nella proposta D’Alema-Amato (AC 5830, 18.03.1999) testo base per la riforma del 2001. Notiamo che in Aula sull’emendamento di maggioranza (4.31) che scrive il testo oggi vigente la Lega, contraria alla riforma nel suo complesso, si astiene (Fontan, 21.09.2000). Nel 2005, nel corso della discussione della riforma costituzionale del centrodestra poi bocciata nel referendum, emerge la proposta (emendamento del relatore 11.0.200, I Commissione Senato 13.01.2004) di un’assemblea di coordinamento pluriregionale, immediatamente battezzata dall’opposizione come “Parlamento padano”. Con gli anni, il disegno si affina. Il 25.09.2012 viene presentato in Senato un DDL costituzionale (AS 3482), a prima firma Calderoli, volto alla istituzione di Comunità autonome, attraverso referendum popolare, con garanzia di almeno il 75% del gettito tributario prodotto nel territorio. Identica proposta (AC 5479) viene presentata Il 27.09.2012 alla Camera, con firme tra gli altri di Maroni, Bossi, Giorgetti e Fedriga. A seguire, il 15.03.2013, praticamente all'indomani del voto, il senatore Calderoli presenta a sua firma l’AS 7, che prevede l'attribuzione di autonomia differenziata ex art. 116.3 alle sole regioni che si costituiscano in macroregione, sempre con la garanzia del 75% del gettito tributario maturato sul territorio. Qualche giorno più tardi una identica proposta viene presentata alla Camera, a firma di Giorgetti, Bossi, Fedriga ed altri (AC 758, 16.04.2013). La macroregione è la costante del pensiero leghista. È il tema delle due, forse anche tre, Italie, con in testa il “Grande Nord”. Oggi non compare esplicitamente perché non è necessario. Basta la sintonia politica nei territori interessati, che per il Nord c'è. Basta l’art. 117.8 della Costituzione vigente, che permette la istituzione di organi comuni, non escluse assemblee rappresentative. E basterà una accorta regia nella gestione delle intese, affidata al ministro dal DDL 615, volta a definire lo stesso quadro di funzioni da trasferire: ad esempio, che tutte le regioni chiedano le infrastrutture, la scuola, l’energia o quant’altro. Con le oltre 500 funzioni statali suscettibili di trasferimento elencate nel dossier cortesemente offerto da Calderoli c’è da scegliere. E se il ministro avesse già qualche interlocuzione in corso? Per questo poco contano le questioncelle interpretative che vediamo correre nei seminari. Piuttosto, con l’autonomia differenziata mettiamo sui blocchi di partenza un’Italia segmentata in macroregioni? Con quali prospettive future? Cosa sarebbero un parlamento e un governo nazionali in un’Italia siffatta? Che senso ha mai la strategia di riforma istituzionale di Giorgia Meloni, che vuole rafforzare il primo ministro quando l’autonomia differenziata in prospettiva svuota le stanze di Montecitorio, Palazzo Madama, e ancor più di Palazzo Chigi? E come si ferma il treno che è già partito? Per questo è essenziale riportare in parlamento le scelte di merito sull’autonomia differenziata, come propongo con gli emendamenti contenuti nella memoria presentata in audizione in Senato. E per questo arriva nel momento giusto il DDL costituzionale di iniziativa popolare per la modifica degli artt. 116.3 e 117 promosso e sostenuto da me e dal Coordinamento per la democrazia costituzionale. Raccolte oltre centomila firme, inizia ora il percorso che condurrà a un dibattito nell’aula del Senato su una rivisitazione (necessaria) del Titolo V malamente scritto nel 2001. Chi vivrà vedrà.
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