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Autonomia, il Sud si faccia sentire
di Massimo Villone da la Repubblica Napoli del 26/2/2023
Nel consueto show del venerdì De Luca ha di nuovo attaccato il governo anche sul tema dell’autonomia differenziata. Accade che ogni tanto qualche verità la dica. Si sta alzando nel Mezzogiorno un’onda di protesta, che in varie regioni vede consigli comunali che approvano mozioni e ordini del giorno come quello adottato a Napoli, sindaci che si mobilitano, iniziative politiche, sindacali, di società civile. Da ultimo, una lettera del presidente Anci Decaro ha costretto il caterpillar Calderoli a rinviare l’incontro già fissato in conferenza, imponendo un ripensamento che avremmo voluto sentire piuttosto nel consiglio dei ministri che con troppa fretta ha dato il primo semaforo verde alla legge di attuazione dell’art. 116.3 della Costituzione. L’incombere delle votazioni regionali in Lombardia e Lazio spiega, non certo giustifica, la fretta. E anzi sottolinea la pericolosità dei processi politici che si sono messi in atto. Vediamo infatti che un occasionale contesto politico, geneticamente mutevole come tutto ciò che esce dalle competizioni elettorali in un sistema democratico, e persino reso fragile dal crescere del non voto, apre la via a modifiche istituzionali che cambiano il volto del Paese in modo permanente. Come ho già chiarito su queste pagine, la maggiore autonomia non è concessa con la legge di attuazione a firma Calderoli, che è una legge ordinaria sul procedimento. È invece attribuita sulla base di intesa alla singola regione con legge speciale non modificabile né limitabile da legge ordinaria, e persino sottratta al referendum abrogativo. La maggiore autonomia concessa è potenzialmente irreversibile. Inoltre, avviare per una o più regioni l’attribuzione di più ampia autonomia comporterà un effetto domino, poiché la titolarità di maggiori poteri e risorse determinerà la cifra del ceto politico regionale. Nessuno vorrà o potrà sottrarsi. Con l’avvio dell’autonomia differenziata, una progressiva balcanizzazione del Paese è lo scenario probabile. In tale contesto il Mezzogiorno sconta una singolare contraddizione. Mentre è decisivo per la vittoria di qualsiasi forza politica o coalizione nello scacchiere nazionale, rimane una minoranza che in quella forza o coalizione non riesce a far valere le proprie ragioni. Possiamo dire che una parte della colpa ricade su un ceto politico segnato da ignavia, clientelismo, familismo, se non malaffare. Ma altrove la politica non è in mano agli emuli di San Francesco o di Madre Teresa. Per capirlo, basta la lettura delle cronache giudiziarie o anche solo della stampa locale. E non ne viene comunque smentita la realtà dell’attribuzione di minori risorse pubbliche e conseguentemente di divari territoriali e diseguaglianze crescenti, di diritti dimidiati e speranze di futuro negate, in un territorio che per popolazione si colloca a ridosso dei maggiori stati europei. Accade perché una parte del Paese – quella egemone - non assume più come obiettivo prioritario l’eguaglianza nei diritti e la coesione territoriale. Nella riforma del Titolo V del 2001 si riflettono gli anni del leghismo dichiaratamente secessionista. Che oggi si traduce nella pretesa che il Veneto avanza su tutte le 23 materie possibili (così Zaia, Italia oggi, 23 febbraio). Mentre Toti vuole il porto di Genova, Giani vuole l’energia e la Galleria degli Uffizi, e Bonaccini non sappiamo più cosa vuole. Né meraviglia la pressione per contratti regionali integrativi su scuola e sanità. Poco importa se questo porrà fine alla scuola nazionale pilastro della identità e unità del Paese, o – come dice Zuccarelli, presidente dell’ordine dei medici di Napoli - se fra poco ci si dovrà curare con la carta di credito e non con la tessera sanitaria. Balcanizzare il Paese è un indirizzo sbagliato, come capisce persino Bonomi, presidente Confindustria. Il Sud faccia sentire la sua voce. In specie, parlino le organizzazioni sociali della sinistra - i sindacati, in primis della scuola, l’Anpi, l’Arci che chiude oggi a Napoli una tre giorni sul tema – magari scontando qualche ambiguità per le contraddizioni che ognuno ha in casa. A tutti va però ricordato che il pericolo viene anche dal dettato stesso degli artt. 116.3 e 117 della Costituzione, ed è solo accresciuto dal ddl in salsa leghista. Eguaglianza nei diritti e unità del Paese si mettono in sicurezza con una modifica mirata degli artt. 116.3 e 117, come fa la proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare sulla quale è in corso la raccolta delle firme, anche online con lo Spid su www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it.
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