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L'Autonomia nel Paese arlecchino
di Massimo Villone da la Repubblica Napoli del 17/1/2023
Le sollecitazioni scomposte di Zaia e Salvini a sostegno della accelerazione impressa da Calderoli sul tema dell'Autonomia differenziata rendono ancora più evidente la divaricazione nella maggioranza di destra. Emergono dubbi e silenzi. Personaggi un tempo autorevolissimi come Fini trovano nuova vita nel pronunciarsi contro. Calderoli e i suoi sodali un miracolo l'hanno fatto. Hanno spinto a manifestare i propri dubbi molti che forse avrebbero coraggiosamente preferito il silenzio. Meloni tace, e al più parla di presidenzialismo. È evidente l'intreccio del tema con le prossime elezioni regionali. Se smentisse l'acceleratissimo cronoprogramma di Calderoli, e il Salvini del "dopo trenta anni, finalmente ...", potrebbe essere incolpata di entrare a gamba tesa nell'agone elettorale. Certo, prima o poi dovrà dire la sua in modo chiaro, ma aspettiamoci che l'ambiguità continui fino al voto. E anche dopo il tormentone dell'Autonomia non sparirà del tutto. Se il governo della destra sopravvive, Meloni dovrà comunque concedere qualcosa all'alleato leghista, soprattutto dopo il recupero del separatismo bossiano. Conviene allora ragionare nella prospettiva futura. Si segnalano punti di metodo e di merito. Sul metodo. L'art. 116.3 rende le scelte sull'Autonomia differenziata potenzialmente irreversibili. Il procedimento previsto parte dalla iniziativa della Regione che chiede una maggiore autonomia, e si realizza con una legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti sulla base di intesa con la Regione. Anche le modifiche eventuali devono seguire quel procedimento e dunque passare attraverso l'iniziativa e l'intesa da parte della Regione. Senza le quali l'eventuale modifica resta impossibile. Inoltre, la legge che concede la maggiore autonomia,in quanto approvata con procedimento speciale e quindi "legge rinforzata" è sottratta anche al referendum abrogativo ex art. 75 della Costituzione. Ancora sul metodo. Il testo trasmesso da Calderoli a Palazzo Chigi e i commi inseriti nella legge di bilancio sui livelli essenziali delle prestazioni (Lep) cercano le soluzioni essenzialmente nella concertazione tra esecutivi - ministro per le Regioni da un lato, governo regionale dall'altro - emarginando quasi del tutto le assemblee elettive. Questo significa assegnare un ruolo decisivo al ceto politico regionale. Che ha un ovvio interesse alla destrutturazione dell'apparato statale, dalla quale comunque in prospettiva guadagna qualcosa, quantomeno in termini di potere amministrativo e gestionale. Bisogna riportare le decisioni in un ambito parlamentare, in cui troviamo un ceto politico che ugualmente rappresenta i territori, ma non lucra in prospettiva alcunché dallo spacchettamento dello Stato. Sul merito. La legge di bilancio nulla dice su quali materie siano i Lep, in quali ambiti, con quali risorse, in quali tempi. È una scatola vuota. Quanto alla legge di attuazione Calderoli, non concede l'autonomia, ma disciplina solo il procedimento per la sua attribuzione. È legge ordinaria non sovraordinata alla legge che concederà poi la maggiore autonomia. Quindi non pone, né potrebbe porre, alcun argine alla autonomia differenziata in materie nelle quali dovrebbe invece escludersi. Come ad esempio per la scuola, il cui carattere nazionale è indispensabile per l'identità stessa del paese. O per il recupero al centro di un potere decisionale in materia sanitaria, la cui necessità è stata dimostrata dalla pandemia. O ancora per il lavoro, l'energia, le grandi reti di trasporto e navigazione, il coordinamento della finanza pubblica, l'ambiente e altro ancora, in ragioni delle molteplici emergenze che il paese si trova oggi o prevedibilmente si troverà ad affrontare domani. Dal combinato disposto di Lep e legge di attuazione viene un Paese arlecchino, in cui i diritti dipendono dal codice di avviamento postale. Per alcuni dei punti segnalati il rimedio si può trovare con una adeguata riformulazione in sede legislativa. Così è, ad esempio, per la legge di attuazione e i commi nella legge di bilancio, laddove si volesse opportunamente riportare la scelta nelle assemblee elettive. Ma per altri punti - come il fondamento pattizio o le materie - il problema viene dallo stesso dettato costituzionale. Qui bisogna pensare a una riscrittura mirata, come abbiamo inteso fare con la proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare volta alla modifica degli articoli 116.3 e 117, di cui avete letto su queste pagine. Si può firmare online con lo Spid su www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it
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