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Lo specchietto per le allodole dei livelli essenziali delle prestazioni
di Massimo Villone da la Repubblica Napoli del 20/11/2022
Nell'intervista al ministro Calderoli su questo giornale vogliamo riprendere l'affermazione che il paese a più velocità e i ritardi del sud sono colpa dello Stato centralista, e non dell’Autonomia. Che è “una opportunità per dimostrare di sapere amministrare meglio di come fa lo Stato e portare maggiori risorse ai propri territori”. Dire che è responsabilità dello Stato centrale non serve a nulla. Lo Stato si incarna nelle politiche pubbliche messe in campo. E dunque la ricostruzione corretta è che i ritardi del Sud vengono in ampia misura dalle scelte di chi governando ha privilegiato per circa 30 anni il Centro e il Nord nella distribuzione territoriale delle risorse pubbliche. È così che si generano e ampliano i divari tra Nord e Sud nella istruzione, nella salute, nei trasporti, nelle infrastrutture. E si comprende il forte accento sui Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) da parte dei difensori del Sud. Ma s'impone cautela, perché potrebbero essere uno specchietto per le allodole. I Lep hanno un contenuto variabile, deciso dalla politica. Possono comprendere la totalità di un servizio, o singoli aspetti. Ad esempio, possono coprire il trasporto dei disabili, o tutto il trasporto pubblico, la refezione scolastica o tutto il servizio dell’istruzione. E possono tradursi in livelli quali-quantitativi più alti o più bassi. Ovviamente più è ampio l’ambito ricoperto, e più alto è il livello considerato essenziale, maggiori saranno i costi e il peso sulla finanza pubblica. Chi non li ha voluti per venti anni? Avranno pure contribuito la pochezza e l’ignavia di chi stava peggio. Ma certo ha pesato molto di più la voluta cecità e l’egoismo di chi stava meglio. Una implementazione dei Lep non limitata ad aspetti minori di pochi servizi avrebbe comportato una vasta redistribuzione delle risorse pubbliche a favore dei territori svantaggiati. Un esito politicamente impraticabile o, - se perseguito - insostenibile per il bilancio. La via è percorribile se si dà a chi ha meno senza togliere a chi ha di più. I casi recenti della rigenerazione urbana e da ultimo della perequazione infrastrutturale lo dimostrano. E dunque i Lep potrebbero funzionare davvero solo in un periodo di vacche grasse e di crescita abbastanza lunga e sostenuta da consentire un margine di risorse sufficiente a far avanzare chi sta indietro senza mettere in quaresima chi è più avanti. Ci aspettiamo un periodo di vacche grasse? Non nel futuro prevedibile. E allora la querelle sui Lep prima, dopo o durante l’Autonomia differenziata sfuma sullo sfondo. Mentre assume rilievo il fatto che i Lep non impediscono la frammentazione del paese in repubblichette semi-indipendenti. Riguardano la misura quali-quantitativa delle prestazioni, non il soggetto pubblico o privato, statale, regionale o comunale che presta il servizio. La prova è che con i Lea (livelli essenziali di assistenza) il servizio sanitario nazionale si è dissolto, tanto che un bambino nato nel Sud ha una minore aspettativa di vita di alcuni anni. Così i Lep non fermerebbero la regionalizzazione di scuola, porti, aeroporti, autostrade, ferrovie, beni culturali di primario rilievo e molto altro, Mentre la regionalizzazione impedirebbe politiche nazionali indispensabili. Ad esempio, pare che la Calabria voglia competenze sulla energia verde. Se altre regioni la vogliono, e altre puntano alla geotermia (come la Toscana), o alle fonti fossili perché hanno le trivelle di fronte alle spiagge, o all’idroelettrico perché hanno le dighe, o all’eolico perché hanno le pale, sarebbe mai possibile una politica nazionale per la crisi energetica? Quindi i difensori del Mezzogiorno e dell’unità della Repubblica devono ragionare non solo sui Lep, ma anche su come porre argini alla bulimia competenziale, non escludendo una limatura mirata del dettato costituzionale, qual è quella proposta nella legge di iniziativa popolare per la modifica degli artt. 116.3 e 117, sulla quale si stanno raccogliendole firme. Chi ama la propria terra vuol bene al paese, dice Calderoli. Certo. Ma si dà anche il caso che la si ami troppo.
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