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Viesti: «Subito una legge popolare per tutelare l’integrità del Paese»
di Leonardo Petrocelli da La Gazzetta del Mezzogiorno del 12/11/2022
BARI - Restituire centralità all’interesse nazionale, riportare in capo a Roma alcuni temi strategici e vincolare la richiesta delle Regioni di nuove competenze al giudizio degli italiani. Sono questi i tre nodi della proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare (riferimenti sul sito www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it) che vede tra i suoi promotori l’economista barese Gianfranco Viesti. Una «mossa» anche politica, in tempi di furore autonomista, che si deve a uno slancio del costituzionalista napoletano Massimo Villone e che ha raccolto già numerosi consensi a cominciare dai sindacati della scuola Cgil, Cisl, Uil, Confasal e Gilda. Professor Viesti, perché questa iniziativa? «Non dobbiamo farci distrarre dall’autonomia differenziata. Il vero tema è capire se l’Italia funziona bene o male con particolare riferimento alla riforma del Titolo V della Costituzione del 2001» Se vi siete mobilitati, la risposta è implicita: non funziona. «Servono dei piccoli ritocchi, non pesanti ma importanti». Da dove si comincia? «Dal 117, quello che stabilisce a chi compete cosa. Proponiamo di inserire all’inizio dell’articolo una clausola che consenta al Governo di intervenire in tutte le materie quando lo richiedono l’interesse nazionale o la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica». Gli altri punti? «Riportare al centro, letteralmente, alcuni temi cruciali: grandi infrastrutture, energia, l’organizzazione generale del sistema sanitario, scuola, università, ricerca e previdenza. Con la precisazione di mutare la dicitura livelli essenziali delle prestazioni in livelli “uniformi” delle prestazioni. Non cambia nulla, ma è un segnale». Cosa chiude il cerchio? «Una modifica dell’articolo 116 per sottoporre a referendum, ovviamente nazionale, le richieste di nuove competenze da parte delle Regioni». Il momento in cui la proposta cade non è certo casuale. Spirano forti venti di autonomia. «Il senso politico dell’iniziativa è chiaro: piuttosto che inseguire proposte estreme di decentramento selettivo, cioè solo per alcuni, mettiamo sul tavolo una riflessione generale su come può funzionare il Paese». Conosce l’obiezione: il vostro è un centralismo nostalgico. «Nessuna nostalgia dei podestà e del centralismo. Semplicemente, cerchiamo di ragionare nel merito. In un momento in cui si cercano intese mondiali per i grandi problemi c’è chi vuole frazionare tutto. E la sanità? Qualcuno immagina come avremmo affrontato il Covid e la campagna vaccinale delegando tutto alle Regioni?». Come giudica la scelta del premier Meloni di piazzare agli Affari regionali un «estremista» dell’autonomismo come il leghista Roberto Calderoli? «La Meloni, qualche tempo fa, disse di voler abolire le Regioni. Cosa a mio parere sbagliata ma indicativa. Così come è indicativa, al contrario, la scelta del ministro». Intanto la «bozza Calderoli» sull’autonomia differenziata è già in circolo. C’è da preoccuparsi? «Molto perché, in sostanza, con quello schema le richieste potrebbero passare quasi sotto silenzio. Il Parlamento è ridotto a mera testimonianza con un parere consultivo e tutto si riduce alla trattativa fra il ministero e le Regioni. Cioè fra Calderoli e Zaia o Fontana. Ma c’è di più». Prego. «Una volta acquisita la nuova competenza non si torna indietro. Per revocarla ci vorrebbe un’intesa con la Regione stessa ma sappiamo bene quanto potere le classi dirigenti locali acquisiscano con l’autonomia. Dunque, non tornerebbero indietro». Il federalismo rafforzato seduce anche la sinistra. Perché? «Perché il Pd è un partito irrisolto che non assolve alla sua funzione che è quella, appunto, di scegliere una parte, di schierarsi. Anzi, di più: la sponda dell’Emilia Romagna all’iniziativa di Veneto e Lombardia è stata il colpo di grazia».
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