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Sostenere la proposta di Villone
di Carlo Iannello da la Repubblica Napoli del 11/11/2022
Chiunque legga con attenzione l'articolo 117 della Costituzione, così come riscritto nel 2001, resterebbe basito. Si renderebbe conto, infatti, che alle regioni sono state attribuite competenze su materie che trascendono il loro interesse. Le regioni «legiferano», infatti, in tema di «grandi reti di trasporto» (ma se sono «grandi» superano i confini regionali), a loro spetta il compito di «coordinare» (sic!) la finanza pubblica, di disciplinare le «professioni» (ingegnere, avvocato, medico, ecc.), di occuparsi «dell'ordinamento della comunicazione» (una materia che sfugge allo stesso dominio dello Stato), finanche di dettar legge su «produzione, trasporto e distribuzione nazionali (sì, avete letto bene, «nazionali») dell'energia elettrica». Per comprendere che l'attribuzione di tali competenze è priva di senso (logico, prima ancora che giuridico) non occorre essere laureati in giurisprudenza. L'articolo 116.3 comma, poi, che dal 2018 è al centro del programma di tutti i governi che da allora si sono succeduti (Gentiloni, Conte I, Conte II, Draghi, e Meloni), è potenzialmente in grado di aumentare il grado di irragionevolezza del sistema (ed è pertanto un bene che non sia stato finora attuato). Infatti, esso stabilisce che, con una procedura tortuosa (i cui difetti sono stati ben evidenziati da Massimo Villone su queste pagine) le Regioni possano ottenere addirittura «ulteriori»competenze, sebbene su quelle che hanno attualmente non siano, di fatto prima che di diritto, in grado di provvedere. Se il sistema Paese è andato avanti sino ad oggi, lo si deve solo alla saggia opera di «riscrittura» del Titolo V fatta con prudenza e giudizio dalla Corte costituzionale. Ecco perché dal 2018 non si riesce a trovare la quadra per dare attuazione a questa disposizione. Perché, prima di ogni argomento politico o giuridico, essa è in grado di aumentare il grado di irragionevolezza già presente nel riparto "ordinario" di competenze (cui sarebbe chiamato a mettere riparo, nuovamente, il giudice delle leggi). In tale contesto privo di logica, l'attuazione dell'art. 116.3 comma è diventato un passepartout per le burocrazie regionali, bramose di acquisire maggiori poteri di spesa in ambiti considerati il cuore dello stato sociale (dalla scuola all'istruzione per finire con l'ambiente e i beni culturali). Il pretesto politico usato dai fautori dell'Autonomia differenziata è rappresentato dai referendum del 2017del Veneto e della Lombardia con cui si è chiesto ai cittadini se volessero affidare «ulteriori» poteri alla Regione. In base all'obiettivo che le burocrazie regionali si propongono, tuttavia, i tentativi di attuazione dell'art. 116.3 comma, non hanno mai preso in carico né la funzionalità del sistema, né l'interesse dei cittadini amministrati. A loro, peraltro, non è stato affatto chiesto se volessero che la scuola pubblica diventasse regionale o se volessero che la competenza sulla Cappella degli Scrovegni (per fare un esempio) passasse dal ministero dei Beni culturali a quella di un assessore regionale. È proprio per attribuire un senso all'art.116.3 comma ed evitare che si trasformi in un micidiale strumento nelle mani di burocrazie regionali assetate di potere, che Massimo Villone si è fatto promotore di un disegno di revisione costituzionale che elimina le maggiori irragionevolezze del riparto tra Stato e Regioni, riportando le Regioni ad occuparsi di questioni di interesse regionale e superando anche le incongruenze procedurali che si trovano nell'attuale 116.3 comma. L'approvazione di questo disegno di legge dovrebbe essere, pertanto, la prima preoccupazione di chiunque voglia conservare un minimo di coerenza al sistema, evitando che l'Italia si disgreghi in tanti piccoli mini-Stati. Solo a valle di una riforma del Titolo V, infatti,si può concepire l'attribuzione di «ulteriori» competenze alle regioni che non le renda delle piccole patrie governate, peraltro, con un sistema presidenziale che non ha paragoni nelle altre democrazie moderne (anche questo frutto della magnifica stagione "riformatrice" della fine degli anni Novanta). Che il Governo Meloni abbia deciso di dare attuazione all'art. 116.3 comma non ha, tuttavia, solo risvolti negativi. Ha, infatti, liberato la sinistra da un sortilegio: può finalmente rivedere la sua posizione sul Titolo V (invece di prodigarsi per la sua attuazione) e sostenere, unita, la proposta di Villone. Lo farà?
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