HOME
|
ARTICOLI
|
DOCUMENTI
|
FORUM
|
COMITATI TERRITORIALI
|
INIZIATIVE
|
RACCOLTA FIRME
Autonomia delle Regioni, destra e sinistra unite nel "no"
di Ottavio Ragone da la Repubblica Napoli del 6/11/2022
Questo è un appello alla politica. Tutta la politica. A destra. A (quel che resta della) sinistra. È rivolto agli esponenti di ogni schieramento, ai parlamentari, ai sindaci, ai presidenti di Regione. A tutti quelli che hanno a cuore l'idea di un'Italia solidale, unita e prospera pur nelle differenze storiche, politiche e culturali. L'Autonomia differenziata delle Regioni - per la quale la Lega sta accelerando per sfruttare la luna di miele tra cittadini e governo così come è formulata va contrastata in ogni sede istituzionale e pubblica. Il progetto trasferisce poteri e risorse imponenti alle Regioni in materie fondamentali come l'istruzione e la sanità, aggravando senza contrappesi lo storico divario tra Nord e Sud. L'Autonomia non serve all'Italia ma solo alla Lega: una forza politica che oggi vale appena l'8,9% sul piano nazionale ed è in calo verticale di consensi, sta per imporre a tutto il Paese una scelta dirompente per l'unità. L'Autonomia nella concezione leghista restringe l'Italia in un localismo soffocante. Non è nemmeno più rappresentativa dell'opinione prevalente in Lombardia e Veneto, lo spiegheremo numeri alla mano più avanti, comparando il dato delle elezioni regionali a quello delle politiche. Serve soprattutto alla Lega per la sua sopravvivenza, specialmente nella ridotta veneta, ma questo è un problema di Salvini e soci, non può riguardare l'Italia intera. Il progetto così come è formulato va nella direzione opposta all'apertura globale che caratterizza i rapporti tra nazioni. Esprime un orizzonte crepuscolare e chiuso negli interessi locali, senza alcuna visione di sistema. Resta inattuata la legge del 2009 che prevedeva il graduale superamento della spesa storica previa individuazione dei "fabbisogni standard", necessari a garantire sull'intero territorio nazionale il finanziamento integrale dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep), concernenti i diritti civili e sociali. Dunque, di che parliamo? Questo giornale, da alcuni anni, sta lanciando l'allarme sull'Autonomia differenziata. Il costituzionalista Massimo Villone ha visto i rischi con grande anticipo e li denuncia giorno dopo giorno su queste colonne. L'osservatorio di "Repubblica" è fatto di tante voci e sarà permanente. Ha ragione Adriano Giannola, il presidente di Svimez, associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno, intervistato da Dario Del Porto. Il progetto regionalistico è un siluro alla Costituzione, avverte Giannola. È vero che l'Autonomia è prevista dalla Carta, ma entro limiti ben precisi e nell'assoluto rispetto dei diritti di cittadinanza, istruzione e salute che devono essere uguali per tutti. Finora gli esperimenti federalisti hanno avuto esito dubbio o infausto. La riforma delle Regioni dopo cinquant' anni ha mostrato evidenti limiti. L'epidemia di Covid è stata la prova sul campo che non servono venti sistemi sanitari differenti, ma al contrario un sistema nazionale sanitario più forte e coordinato su tutto il territorio. L'istruzione non può essere delegata alle Regioni con personale autonomo e programmi che esaltano le differenze locali, a partire dai dialetti. L'Europa con il Pnrr ha assegnato all'Italia oltre 200 miliardi per ridurre il divario tra settentrione e meridione. Con l'Autonomia così formulata si va nella direzione esattamente opposta. Introducendo nel sistema e nella mentalità collettiva un elemento odioso, molto pericoloso politicamente e foriero di potenziali spaccature. Quando ci sono i soldi in ballo, la distribuzione delle risorse con le ricadute concrete sui diritti e sulla vita di tutti noi, ebbene non è questo un cuneo che può generare sentimenti di vera e propria avversione tra cittadini settentrionali e meridionali? Che conseguenza avrebbe sul sistema politico nazionale l'istituzione di venti piccole Regioni-Stato? E veniamo ai dati. In Lombardia il leghista Attilio Fontana fu eletto presidente nel 2018 con oltre 2 milioni e 700mila voti, pari al 49,5%. La Lega ottenne il 29,6% e 1,5 milioni di voti, Fratelli d'Italia il 3,6% pari a 190mila voti. Alle politiche del 2022 i rapporti si sono ribaltati. Fratelli d'Italia è al 27,6% con circa 1,4 milioni di voti, la Lega è scesa al 13,9 con 700mila voti, ha cioè dimezzato l'elettorato. In Veneto il leghista Luca Zaia alle regionali 2020 ebbe il 76,8% e 1,8 milioni di voti, di cui oltre 900mila con la sua lista. La Lega era al 16,9 con 347mila voti, Fratelli d'Italia al 9,6 con 196mila voti. Due anni dopo, alle politiche, Fratelli d'Italia è al 32,6% con 817mila voti, la Lega ne ha 366mila con il 14,6%, Zaia compreso. Come si vede Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni, che non è certo un partito regionalista, ha largamente sopravanzato la Lega. Dunque neppure il Nord è più convinto delle idee di Fontana, Zaia e Salvini: perché l'Italia dovrebbe farsi carico delle spinte politiche leghiste nella maggioranza di centrodestra, assecondate con l'assegnazione del ministero a Roberto Calderoli? Perché tutto il Paese dovrebbe pagare dazio politico a una netta minoranza dell'elettorato? Perché dovrebbe subire lo scambio politico tra Fratelli d'Italia e Lega? E perché il presidente Pd dell'Emilia Romagna Stefano Bonaccini e tanti altri esponenti del Pd perseverano nell'errore dell'Autonomia, sia pure con tutti i (molto teorici) pesi e contrappesi? Perché una Sinistra degna di questo nome non si fa carico di un vero e forte progetto politico di coesione nazionale? Intervistato da Conchita Sannino, l'ex presidente della Camera Roberto Fico ha detto che i 5 Stelle "si opporranno in tutti i modi". È un passo importante ma non può bastare. Questo è un appello trasversale alla politica. Tutta la politica. In Parlamento e nel Paese, con iniziative pubbliche e larghe intese, l'Autonomia va contrastata prima che sia tardi.
newsletter