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Pd, il Sud non passa per Bonaccini
di Massimo Villone da la Repubblica Napoli del 8/10/2022
L’ha fatto di nuovo. Dopo la Carta di Taranto, anche nella direzione Pd del 6 ottobre Letta ha mostrato che la parola Sud gli provoca una insopprimibile allergia, e proprio non gli riesce di pronunciarla. La cosa ci preoccupa. Perché se il Pd vuole avere un senso come partito deve mettere in campo un progetto per il Sud. Che non emergerà mai se si continua a fingere che il Sud come tale non esista nella mappa politica, economica e sociale del paese, e che sfumi invece in una indistinta questione di lavoro, eguaglianza, diritti. Ovviamente, bisogna capire le ragioni del silenzio di Letta. Le riassumiamo in un nome: Bonaccini. Il problema non sorge per la persona, certo commendevole e capace, ma per quello che rappresenta in virtù delle sue scelte. Condividere con leghisti doc come Fontana e Zaia un percorso segnato da parole d’ordine di egoismo territoriale malamente dissimulato non consente di fingere che nulla sia accaduto. Soprattutto poi quando gli stessi personaggi rispolverano toni e linguaggi consegnati alla storia come secessionisti. E pretendono da Giorgia Meloni il ministero delle autonomie, snodo cruciale per strappare al resto del paese un vantaggio potenzialmente irreversibile con l’autonomia differenziata, consentito dal meccanismo perverso scritto nell’art. 116.3 della Costituzione. Dunque, Letta forse tace anche per non entrare a gamba tesa nella successione a sé stesso. Peraltro, è finita che Bonaccini è coraggiosamente fuggito dalla direzione senza prendere la parola, benché avesse ripetutamente e bellicosamente annunciato che intendeva dire la sua. Non l’ha detta. Probabilmente, perché ha capito che un suo intervento avrebbe aperto un mini-congresso anticipato sulla sua candidatura, per il carattere divisivo. Dovuto, peraltro esclusivamente alla sua scelta per un leghismo rosé a partire dalla firma dei pre-accordi del 28 febbraio 2018 tra il governo Gentiloni e il trio Zaia, Fontana e – appunto - Bonaccini. Una scelte legittima, da lui ritenuta nell’interesse della sua regione. Ma aveva alternative diverse, e attente all’unità della Repubblica, di cui il Pd poteva essere fisiologicamente alfiere. Ora, può darsi che confidi nelle primarie che troppo frettolosamente Letta ha confermato. Ma quale credibilità potrebbe mantenere nel Sud un Pd che avesse come segretario un componente del trio Zaia-Fontana-Bonaccini, quando i primi due militano in un soggetto politico oggi esplicitamente volto alla tutela degli interessi del Nord? E potrebbe mai il Pd essere pietra angolare di qualsivoglia schieramento o istituzione se fosse ridotto nel Mezzogiorno a una cifra? Vediamo queste domande sullo sfondo della prudente ritirata di Bonaccini dalla direzione Pd. È ragionevole pensare che questo sia stato anche dovuto al fatto che esponenti Pd del Sud hanno preso la parola criticando in vario modo l’omissione da parte di Letta. Ne abbiamo letto i nomi su queste pagine, e a loro va uno speciale apprezzamento. Ma devono fare in modo che le posizioni manifestate non rimangano il lamento isolato espresso in una assemblea, che poi scompare nell’approvazione di un documento politico e soprattutto non vive nel percorso congressuale che si aprirà. A questo fine spetterà a loro costruire in quel percorso il progetto per il Sud che il segretario non ha assunto. Servirà a loro e ancor più al Pd. A questo fine, devono vigilare sul Pnrr e la sua attuazione. Devono cercare alleanze nella politica, nelle università, nell’economia, nel sociale, per sostenere il rilancio del sistema produttivo nel Mezzogiorno, e dare corpo all’attenzione che il paese deve avere per lo scenario euro-mediterraneo in cui il Mezzogiorno ha oggettivamente un ruolo essenziale. Devono affermare con forza che il Sud non può essere solo reddito di cittadinanza o salario minimo, con un po’ di turismo tanto per gradire. E che la solidarietà è necessaria, ma non nei termini di un assistenzialismo a tempo indeterminato. Piuttosto, con l’obiettivo che il Mezzogiorno conclusivamente non ne abbia più bisogno diventando co-protagonista alla pari nel sistema-paese. Vasto programma? Può darsi. Ma per che altro essere eletti oggi dal Mezzogiorno a un seggio parlamentare? Per qualche interrogazione ogni tanto e la guerriglia sui social? No, grazie. Oggi, più di ieri, la destrutturazione dei soggetti politici mette sulle spalle degli eletti il peso delle speranze di milioni di donne e di uomini. E dunque se da un segretario vengono molte parole, ma troppi silenzi, vengano dagli eletti poche parole, e molti fatti.
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