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L'autonomia e il Sud senza voce
di Massimo Villone da la Repubblica Napoli del 28/9/2022
Cala il sipario su un voto che per la prima volta consegna il governo del paese alla destra. Per anticipare i possibili scenari futuri è importante una lettura ravvicinata, anche con riferimento a chi vince e chi perde nel Mezzogiorno. Anzitutto, il Pd. La sconfitta è al Sud è pesante, con dati al di sotto di una media nazionale già deludente in sé. Questo dimostra che era giusto mettere in campo una strategia per il Sud, come ha fatto Letta in specie con la carta di Taranto. Ma è mancato il successo, per almeno due motivi. Il primo. È partita in ritardo e non è stata credibile, ad esempio nella sintonia con governatori che fino al giorno prima lanciavano anatemi, e dei quali il voto ha poi anche mostrato una comparativa debolezza con la sconfitta dei loro cerchi magici. O ancora nel paracadutare candidati del tutto alieni per i territori. O infine nel merito delle proposte. Ad esempio, prospettare come centrale l'assunzione di 300000 dipendenti pubblici entro la fine del 2024, per giungere a 900000 entro pochi anni. L'obiettivo di un rafforzamento strutturale delle amministrazioni è in termini generali giusto e condivisibile. Ma come? Quali risorse? Quali procedimenti selettivi? Quali tempi? Il secondo. In anni recenti nel dibattito sul divario Nord-Sud si fronteggiano essenzialmente due filosofie. La prima punta a contenerlo, bastando a tal fine i livelli essenziali delle prestazioni per i diritti civili e sociali (Lep) e forme di perequazione territoriale. Per il resto, si lasci correre la locomotiva del Nord, e qualche beneficio arriverà pure al Sud. La seconda punta invece a rivitalizzare il sistema produttivo del Sud facendo partire una seconda locomotiva che insieme al Nord traini con maggiore velocità il paese tutto. In tale ipotesi, Lep e perequazione non bastano. Si richiedono politiche attive industriali e infrastrutturali, che rendano il Sud co-protagonista e non mero destinatario di solidarietà altrui. Alla prima opzione - solo Lep e perequazione - si collega l'autonomia differenziata. "Quale autonomia?" è dunque la domanda da porsi quando ci si occupa del Mezzogiorno. E toglie credibilità al Pd, inclusa la Carta di Taranto, che la domanda non venga mai posta. Ha ragione il sindaco Manfredi quando critica su queste pagine il timore del Pd "di dire che l'Autonomia differenziata non è nell'interesse del Paese ... un grande partito non deve avere timore di dirlo». Giusto. Ovviamente una ragione c'è. Vediamo nella turbolenza pre-congressuale Pd già iniziata la conferma di Bonaccini in corsa per la segreteria. Lo sapevamo, e lo ribadisce Bonaccini stesso (Repubblica Bologna, 27 settembre). Ma cosa dovremmo pensare nel Sud se diventasse segretario del Pd un sodale di Fontana e Zaia? Anche Elly Schlein, da alcuni vista bene per la segreteria, non va oltre il dire che l'autonomia differenziata non è una priorità. Il Pd deve riguadagnare il Sud, se vuole riprendere centralità nel sistema politico del paese. E se non lo facesse? Possono farlo altri? Conte ha voluto dichiarare che MSS non è il partito del Sud. Leggiamo che potrebbe anche decidere di optare per un seggio in terra nordista. Possiamo capirlo. Ma dovrebbe considerare che circa il 70% dei suoi parlamentari è eletto in regioni del Sud. La sola Campania, con 16 deputati e 8 senatori, ne elegge il 30%. Questo suggerisce prudenza. Già nel 2018 il Movimento aveva nel Sud la sua cassaforte elettorale, e maggiore attenzione e studio su temi cruciali come l'autonomia differenziata avrebbero forse potuto (almeno) temperare i cataclismi che hanno colpito il Movimento nella legislatura. Chi parlerà per il Sud? Bisognerà vigilare. Il tema dell'egoismo territoriale dissimulato nelle vesti dell'autonomia differenziata rimarrà in agenda. Ce lo dice l'ultimo Salvini in campagna elettorale, e lo confermano i mugugni leghisti subito emersi dopo il voto per un tracollo elettorale generalizzato, e devastante nel Sud. Zaia è all'attacco, e nella Lega si sente già dire che senza autonomia non si fa il governo. Salvini fa catenaccio, ma è probabile che debba pagare un prezzo, e nel caso bisognerà vedere se e come scaricherà le tensioni interne sul governo. Potrebbe sembrare che l'indebolirsi di un soggetto politico tornato al linguaggio secessionista degli anni '90 sia tranquillizzante. Ma non facciamoci illusioni. Resisterà Fratelli d'Italia? Non ci piace affatto l'idea che i destini delle donne e degli uomini del Sud rimangano affidati alla capacità dei nuovi padroni di Palazzo Chigi di controllare la fame delle poltrone tanto a lungo agognate.
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