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Autonomia, solo la Chiesa si oppone davvero
di Massimo Villone da la Repubblica Napoli del 1/9/2022
L’Autonomia differenziata è entrata nella campagna elettorale. Era ora che ci fosse una occasione di visibilità, al di fuori di simposi accademici e dotte dissertazioni di esperti. Dalla firma il 28 febbraio 2018 - a soli quattro giorni dal voto - dei famigerati pre-accordi tra Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto e il governo in articulo mortis, la politica aveva steso una coltre di silenzio sulla trattativa in corso tra le Regioni richiedenti e il ministero delle autonomie. Un sostanziale occultamento che ha resistito per ben tre governi (gialloverde, giallorosso, tecnico) e altrettanti ministri (Stefani, Boccia, Gelmini). Abbiamo assistito alla singolare vicenda di una priorità dichiarata e persino inclusa tra i disegni di legge collegati al bilancio, e tuttavia mai davvero spiegata, o ufficialmente documentata e resa disponibile per il vaglio di studiosi ed esperti, o ancora illustrata nell'aula parlamentare. Anzi, chi ha cercato in question time di estrarre dal governo qualche informazione che andasse oltre la genericità degli slogan (Fassina, Conte) non è stato ricandidato. Così, tocca a monsignor Savino, vicepresidente della Cei per il Mezzogiorno, e ieri ai vescovi, dire in chiaro che l'Autonomia differenziata, per come l'hanno immaginata e si punta a realizzarla, è "un enorme macigno gettato sulle spalle di generazioni presenti e future". E proprio sul tema delle diseguaglianze e dei divari territoriali che si è svolto il conclave dei vescovi a Benevento, che ha discusso di aree interne con accenti che sarebbero pienamente legittimi in una sede di partito o in parlamento. Sia chiaro. La Chiesa non usurpa il ruolo di altri, e fa il suo mestiere. La domanda vera è se altri facciano il proprio. A leggere le cronache della campagna elettorale non si direbbe. Non si può chiedere il voto con una merce costruita per l'occasione. Così, leggiamo che Conte e Fico sono fermamente contrari all'Autonomia differenziata, perché crea diseguaglianze. Ovvio, e giustissimo. Ma è una folgorazione sulla via di Damasco. Proprio MSS, potenzialmente forza egemone nel parlamento del marzo 2018, consentiva che fosse prioritario per il governo gialloverde il completamento del percorso iniziato con la firma dei pre-accordi. Lo stesso con il governo giallorosso. E ancora con il governo tecnico. Una ambiguità pluriennale, che continua. Lontano dal Sud, Conte dichiara (Corriere del Veneto, 30 agosto), che la colpa della mancata realizzazione dell'Autonomia al tempo del governo gialloverde ricade sulla Lega e su Salvini del Papeete, che l'autonomia richiesta dai cittadini veneti è una istanza legittima, e che solo bisogna definire in via preventiva i livelli essenziali delle prestazioni (Lep). Da questo punto di vista, su queste pagine lo vediamo in sintonia con Mara Carfagna (Azione), che ugualmente assegna ai Lep un ruolo cruciale per la coesione sociale e territoriale. E lo stesso può dirsi per Valeria Valente (Pd). Vogliamo ancora far finta di non capire che i Lep sono la foglia di fico delle diseguaglianze? Ho scritto, e ribadisco, che in tempi di vacche magre e di bassa crescita, o peggio di crisi o stagnazione, i Lep non possono essere strumento utile a recuperare i divari territoriali. In ogni caso, non impedirebbero di per sé la frantumazione del Paese in tante repubblichette semi-indipendenti. Dunque bisogna avere il coraggio di dire che nelle materie strategiche per l'unità del Paese, dalla scuola alla sanità all'ambiente al lavoro alle infrastrutture materiali e immateriali, si richiedono politiche nazionali incisive e non c'è spazio per l'Autonomia differenziata. Se si pensa che la Costituzione invece la garantisca, allora è il momento di correggere il Titolo V riformato nel 2001. Il punto è che sull'Autonomia differenziata Pd e MSS vengono da quattro anni di silenzi e ambiguità, dolosi o colposi. Salvo la foglia di fico dei Lep, e il debolissimo progetto di una legge-quadro, un chiaro disegno non l'hanno mai avuto, né lo trovano adesso che i leaders vanno a candidarsi al Nord per grattare qualche voto sul fondo del barile. È più incisiva Meloni, quando dice ai calabresi che il Sud finanzia la sanità del Nord. Mentre il programma elettorale di Fratelli d'Italia scommette più di quelli degli altri partiti sul rilancio del Mezzogiorno come necessario per la crescita dell'intero paese, con tutto quel che ne segue. Il problema di conciliare l'obiettivo con il "federo-regionalismo" della Lega verrà poi. Continuando così, non dovremo meravigliarci se la destra farà cappotto con il voto decisivo del Mezzogiorno.
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