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Intervista a Massimo Villone "Armi, risoluzione discutibile. Adesso il Parlamento vigili"
di il Fatto Quotidiano del 3/4/2022
Il costituzionalista che è stato anche parlamentare lo premette subito: "Siamo su un terreno scivoloso". E comunque "io questa risoluzione non l'avrei votata". Massimo Villone, professore emerito di Diritto costituzionale all'Università Federico II di Napoli, più volte senatore prima per il Pds e poi per i Ds, si sarebbe astenuto sulla mozione con cui il Parlamento ha autorizzato il governo a inviare armi all'Ucraina. Una risoluzione per inviare armi a un Paese estero, costruita come un ponte tra il decreto legge del governo e i decreti interministeriali. Da un punto di vista giuridico, che giudizio ne dà? È un modo di procedere un po' discutibile. Il punto è che alla fine c'è stata un'autorizzazione che non voglio definire in bianco, perché non sarebbe tecnicamente giusto definirla così, ma che di fatto ha consentito ad alcuni ministeri di decidere quando e quali armi mandare. Vedo una certa disattenzione al ruolo del Parlamento su decisioni molto delicate anche dal punto di vista istituzionale, e non mi soddisfa. Il Parlamento potrà solo guardare? Potrà provare a tenere sotto pressione il governo, visto che nella risoluzione si parla dell'obbligo di tenere costantemente informati i parlamentari. Ciò apre la via a possibili risoluzioni, non vincolanti, ma che rappresentano comunque strumenti che arrivano all'opinione pubblica. Serve vigilanza democratica: un conto è il sostegno al governo, altro è vigilare su di esso. Anche se di questi tempi sembra che ogni critica all'esecutivo sia un tentativo di farlo cadere. L'articolo 11 della Costituzione recita: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali". La risoluzione non stride con queste parole? La nostra Carta non è per il pacifismo a prescindere. Per esempio, l'articolo 52 prevede "la difesa della patria come sacro dovere del cittadino". La guerra difensiva è assolutamente consentita per il nostro Paese. Ma queste armi serviranno per difendere una nazione straniera. Il fatto che l'Ucraina sia stata aggredita quanto pesa? Per la Costituzione chi aggredisce ha sempre torto, su questo non vi è alcun dubbio. Detto questo, se avessimo previsto l'invio di una forza di peacekeeping che si dovesse frapporre tra due Paesi in guerra non avrei visto problemi, visto che l'obiettivo sarebbe stato la pace. Sull'invio delle armi invece nutro dubbi: in sostanza, lo scopo in questo caso è guadagnare tempo per la trattativa. Onestamente non sono convinto, se mi fossi trovato in Parlamento con ogni probabilità mi sarei astenuto. Secondo una legge del 1990, l'esportazione e il transito di armamento sono vietati "verso i Paesi in stato di conflitto armato, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell'Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere". La risoluzione approvata sull'Ucraina si baserebbe sugli articoli 3 e 4 del Trattato Nordatlantico che consentono alle parti di aiutarsi per accrescere "la loro capacità di resistere a un attacco armato". Non può essere una base giuridica sufficiente per giustificare la risoluzione? Ma siamo sempre in ambito Nato. Sono strategie di difesa tra Paesi che ne fanno parte, ma l'Ucraina non è tra i membri dell'alleanza. Ed è una questione centrale in questa vicenda. L'invio delle armi rappresenta uno snodo per la storia del nostro Paese? Lo è per noi e per tutta Europa. Basti guardare la Germania, con il suo cambiamento di rotta sulle spese militari. Sta cambiando l'assetto degli equilibri globali, e questo influirà anche sulla lettura delle carte costituzionali.
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