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I «comprovati motivi» dovranno essere indicati ogni volta
di Massimo Villone dal Manifesto del 12/11/2021
In data 10 novembre 2021 il ministero dell’Interno ha adottato una “Direttiva recante indicazioni sullo svolgimento di manifestazioni di protesta contro le misure sanitarie in atto”. È bene sottolineare il titolo, che fornisce la prima chiave interpretativa del contenuto. Gli eventi, a Trieste e in altre città, che hanno condotto all’adozione della direttiva sono noti. Nel bel tempo che fu, i partiti o sindacati che organizzavano manifestazioni avevano servizi d’ordine sovente molto arcigni. In qualche modo, condividevano con l’autorità la responsabilità per l’incolumità e la sicurezza pubblica. Ma un movimento come il No-Vax, liquido e autoconvocato via rete, un servizio d’ordine non l’ha né potrà mai averlo. Da qui una presenza inevitabilmente più significativa della pubblica autorità. Tale ruolo non è di per sé costituzionalmente censurabile. L’art. 17 della Costituzione riconosce il diritto di riunirsi “liberamente e senza armi”. Quindi, chi si reca alla manifestazione portando una spranga di ferro, o raccoglie un sanpietrino o una bottiglia per scagliarli contro la forza pubblica, è per ciò solo fuori della garanzia costituzionale. Inoltre, la riunione in luogo pubblico può essere vietata per “comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”. E se può essere vietata, può anche essere oggetto di interventi meno incisivi su limiti o modalità di svolgimento. Ma la singola riunione, come si evince dalla formula “comprovati motivi”. È conforme a questo modello la direttiva ministeriale? In generale sì, per la parte che percorre vie già note. È ampiamente sperimentato il ruolo dei comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza pubblica. Parimenti, è pratica usuale che l’autorità di pubblica sicurezza disponga limiti per singole manifestazioni. Classico l’esempio di percorsi obbligati per evitare l’incrocio di cortei di segno opposto. Ma un punto di novità e un dubbio potrebbero esserci. La direttiva chiama i prefetti ad individuare secondo criteri di proporzionalità “specifiche aree urbane sensibili, di particolare interesse per l’ordinato svolgimento della vita della comunità, che potranno essere oggetto di temporanea interdizione allo svolgimento di manifestazioni pubbliche per la durata dello stato di emergenza in ragione dell’attuale situazione pandemica”. Sembra in tal modo essere assegnato ai prefetti il compito di individuare in via generale e astratta, non in connessione con una manifestazione data, aree della città in cui le riunioni sono vietate a prescindere. Una determinazione che divide la città in due aree: nella prima non si manifesta, nella seconda si manifesta, sia pure con eventuali limiti. Tali determinazioni sarebbero vincolanti per i questori. A leggere estensivamente la direttiva, la zona di divieto assoluto potrebbe essere dichiarata e permanere per tutto lo stato di emergenza. Un siffatto potere prefettizio non sembra potersi far derivare dall’art. 13, comma 2, della legge 121/1981, richiamato nella direttiva. È positivo che vi sia un chiaro termine ad quem – la fine dello stato di emergenza – per la determinazione prefettizia del divieto. Ma sarebbe comunque dubbia la compatibilità costituzionale di un divieto adottato una tantum per tutta la vigenza di uno stato di emergenza formalmente dichiarato. Questo proprio perché la Costituzione prevede che l’autorità intervenga sulla singola riunione, per “comprovati motivi” di volta in volta individuati. Una lettura secundum constitutionem della direttiva ministeriale va nel senso che la determinazione prefettizia delle aree sensibili non sia assunta a tempo indeterminato fino alla cessazione dello stato di emergenza, ma piuttosto per periodi più brevi, in occasione di una o più specifiche manifestazioni. Potendo poi essere reiterata per eventi ulteriori e diversi, sempre nell’ambito dello stato di emergenza deliberato nelle forme prescritte. Infine, la direttiva si rivolge – come detto – alle manifestazioni Covid. Per la formulazione di chiusura le modalità richiamate potranno – ma non dovranno necessariamente – essere adottate per altre manifestazioni. Del resto, è ovvio che manifestazioni Covid potrebbero formalmente presentarsi con veste diversa. In ogni caso, per tutto quanto detto le determinazioni prefettizie non devono ritenersi ex se lesive della Costituzione. Ma il problema potrebbe manifestarsi, e una vigilanza democratica localmente e in Parlamento rimane assai opportuna.
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