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Sud, ripartiamo dagli investimenti
di Massimo Villone da la Repubblica Napoli del 28/2/2021
E' comune la constatazione che tra i silenzi del discorso programmatico di Draghi c’è anche il Mezzogiorno. La faglia che spacca il paese, pure citata più volte nella discussione seguita al discorso, non è stata assunta come priorità dal presidente del Consiglio nemmeno nelle repliche. Questo deve preoccuparci più che la composizione nordista dell’esecutivo. E ci interroga sul come, e con quali argomenti, sia possibile riportare la questione meridionale all’ordine del giorno. Non c’è dubbio che i diritti dimidiati siano il tratto più visibile e per molti versi inaccettabile per oltre ventidue milioni di meridionali. La pandemia ne ha offerto una dimostrazione inoppugnabile, ad esempio per la comparativa debolezza del sistema sanitario, o le maggiori difficoltà incontrate nell’affrontare il problema scuola. Una situazione in stridente contrasto con una Costituzione che assume l’eguaglianza come una delle principali strutture portanti. Che fare? Nel precedente governo il ministro per le Autonomie Boccia, paladino di una autonomia differenziata nella sua opinione inoffensiva, scommetteva sui livelli essenziali delle prestazioni (Lep). La formula dell’art. 117 Cost. è da molti considerata risolutiva del problema delle diseguaglianze territoriali. È rimasta inattuata, nonostante una legge (42/2009) tesa a dare seguito al dettato costituzionale. È probabile che venga in primo piano ora, anche per rispondere alla crisi in atto. Ma bisogna sapere che non è di per sé la soluzione. E che anzi assumerla come strumento unico o principale potrebbe essere un approccio fuorviante e sbagliato. I Lep non sono, infatti, una garanzia di eguaglianza, ma un argine contro l’eccesso di diseguaglianza. Chi è sfavorito, ad esempio nel servizio sanitario, in quello scolastico, nella mobilità, viene sostenuto e portato a un livello non uguale a quello di tutti gli altri, ma appunto “essenziale”. Che è comunque meno dell’intero. Il divario tra l’“essenziale” e il “tutto” diventa una diseguaglianza costituzionalmente compatibile. Chi in condizioni di comparativa debolezza si trova a rincorrere viene aiutato ad andare un po’ più in fretta, senza però raggiungere la velocità dei più forti. Alla fine, è giusto che abbia un po’ di meno. E chi decide quanto il livello essenziale può allontanarsi da quello massimo? Ovviamente, il decisore politico del momento, cioè la maggioranza. Con l’unica garanzia di un giudice di costituzionalità che ritenga il divario tanto grande da risultare irrazionale. Una tutela evanescente. La prova indiscutibile che i Lep non siano garanzia di eguaglianza è data dai Lea (livelli essenziali di assistenza), l’equivalente dei Lep nella sanità. Tutti possono vedere che non hanno impedito il diseguale frantumarsi del servizio sanitario nazionale, tanto da arrivare ad aspettative di vita differenziate per territorio. Questo suggerisce che una strategia contro la crisi pandemica che voglia rimettere la questione meridionale all’ordine del giorno non può essere fondata solo sui Lep. Anche perché guardare unicamente a un obiettivo di diritti eguali senza rilanciare il Mezzogiorno come elemento del sistema economico-produttivo del paese equivarrebbe al parente povero che chiede a tempo indeterminato una maggiore solidarietà al più ricco. E potrebbe dare forza a chi vuole raffigurare il Sud come un pozzo nero in cui inutilmente si disperdono le risorse pubbliche, condannato a un irredimibile assistenzialismo. Per questo sarebbe un errore grave guardare al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) solo come l’occasione per avere un po’ di risorse in più da destinare ai Lep. Sarebbe un progetto di cortissimo respiro. Bisogna investire sul rilancio produttivo del Mezzogiorno. Ci sono idee interessanti, ad esempio sul sistema dei porti meridionali, assistiti da una adeguata rete per la mobilità e i trasporti, al servizio del progetto di un Sud come piattaforma logistica nello scacchiere euromediterraneo, volta ai mercati dell’Africa e dell’Asia. Porti certo non serventi al turismo e al traffico locale, come prevedeva il Piano del Conte bis. E altre idee e proposte vanno emergendo. In sintesi, i Lep sono l’aspirina che fa abbassare la febbre, e non cura la malattia. L’obiettivo deve essere che i Lep non siano più necessari, perché tutti sono a pieno diritto eguali. La ministra Carfagna sembra assumerli a suo obiettivo principale. Realizzarli è cosa buona e giusta. Fermarsi ai Lep è sbagliato. Ministra, le aspirine vanno bene. Ma si faccia carico anche dell’antibiotico.
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