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Bisogna esserci, ma pesano i troppi «non detto»
di Massimo Villone dal Manifesto del 19/2/2021
Cosa non dice Draghi? Nel voto di fiducia la dissidenza è stata contenuta. Pensavo e penso che nel contesto dato chiamarsi pregiudizialmente fuori è un errore. Bisogna esserci e dare battaglia. Ma c'è un detto e un non detto. Alcuni silenzi potrebbero essere fragorosi, e vanno segnalati. Nel discorso programmatico in Senato Draghi non pronuncia mai la parola Costituzione. Viene ampiamente citata nella discussione generale che segue, ma Draghi non coglie l'assist, e nella replica ricorda solo fugacemente il lavoro del Senato per introdurre nella carta fondamentale il terna ambiente. In qualche caso il richiamo alla Costituzione può essere implicito, come è per la progressività del sistema fiscale. Ma un accenno al feeling verso il fondamento normativo della Repubblica, magari in un rituale richiamo alle riforme come strumento di attuazione, sarebbe stato gradito. Draghi ha parlato di tante riforme, salvo quelle istituzionali, forse per lui divisive. Ciampi nel 1993 assunse la legge elettorale come priorità dell'esecutivo. Ma aveva dietro le spalle un referendum che trasformava il sistema elettorale del Senato, e una Corte costituzionale che lo aveva dichiarato ammissibile. Nacque il Mattarellum. Ora il terna spacca la maggioranza che coalizione non è. Ma per alcune riforme che Draghi vuole non è indifferente toccare o no il livello costituzionale. La pandemia ha posto l quesito della necessità di modificare il rapporto Stato-Regioni riportando in qualche misura al centro la sanità. Il virus ha mostrato la cacofonia istituzionale come elemento di confusione, di tensioni sociali e di ineffettività delle restrizioni volte a contenerlo. Si pensa allora a rivedere il Titolo V o no? Ad esempio, rafforzando la sanità territoriale senza toccare l'art. 117 della Costituzione, attraverso leggi cornice? Più in generale, basterebbero tali leggi per politiche nazionali forti, e decenti livelli di eguaglianza nei diritti? Andrebbe introdotta nell'art:. 117 una clausola di supremazia della legge statale? Draghi nulla dice, poi, dell'autonomia differenziata. Le richieste agli atti portano all'Italia delle repubblichette. Scuola, sanità, autostrade, ferrovie, porti, aeroporti, ambiente, territorio sono oggetto di brame localistiche. Il programma disegnato da Draghi, ambizioso e con impatto di lungo periodo, richiede politiche nazionali incisive, che con l'autonomia differenziata diventerebbero impossibili, o verrebbero di fatto consegnate a una contrattazione tra potentati locali. Perché, allora, Draghi sceglie come ministra per le autonomie la Gelmini, già componente della delegazione trattante lombarda portatrice di pretese para-secessioniste? Altri nomi di Forza Italia sarebbero stati disponibili. E per di più Berlusconi la nomina ora capo-delegazione per Forza Italia nel governo. La spinta verso le repubblichette ripartirà - lo dicono i proponenti- quando si attenua l'emergenza da virus. La nomina della Gelmini è un silenzio-assenso a futura memoria? In possibile sinergia con la nomina della Gelrnini tace, infine, Draghi sulla riduzione del divario Nord-Sud come obiettivo strategico. Anche questo richiamato nella discussione, e non ripreso nella replica. Non può ignorare il contrasto che emerge tra la tesi nordista della locomotiva del Nord, sulla quale investire per agganciare l'Italia all'Europa dei forti e trainare il paese, e la tesi meridionalista sul rilancio del sud come secondo motore e piattaforma logistica euro-mediterranea volta ai mercati emergenti dell'Africa e dell'Asia. Né può ignorare che le classifiche europee, in cui il Nord perde posizioni, dimostrano che la prima è sbagliata. Né può infine ignorare che nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) – suo obiettivo primario -fra le due tesi bisogna scegliere. Tonino Perna scrive su queste pagine che il destino delle popolazioni meridionali è segnato, e dubita che ci siano forze politiche o sindacali pronte a mobilitarsi per impedirlo. È un rischio reale. Se il Sud riuscisse a fare rete, l'intergruppo PD, M5S e LeU potrebbe essere il luogo giusto per farsi ascoltare, trovare alleati e incidere sulle scelte. I silenzi di Draghi pesano. La proposta Salvini-Giorgetti per il ponte sullo stretto mostra che qualcuno alla fine ne trae un lucro politico. E l'unità che il premier vede nel discorso come dovere può tradursi in miraggio.
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