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Draghi, pochi cenni sul Sud
di Massimo Villone da la Repubblica Napoli del 18/2/2021
Mario Draghi ha pronunciato un discorso lungo e denso di politica. Forti richiami alla responsabilità e all’unità, con l’ambizione di guardare lontano e la consapevolezza di decisioni che peseranno a lungo sul paese. Non mancano le discontinuità rispetto al predecessore. Anzitutto, sulla governance del programma nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), “incardinata nel ministero dell’Economia e delle finanze, con la strettissima collaborazione dei ministeri competenti … Il Parlamento verrà costantemente informato …”. Rispetto alla cabina di regia firmata Conte è un positivo rientro nel normale alveo istituzionale. E sarebbe bene muoversi in modo analogo anche per il contrasto alla pandemia, ponendo fine all’emarginazione del parlamento e alla cacofonia istituzionale che disorienta il paese. Ma si avverte qualche silenzio sul Mezzogiorno, cui un metodo nuovo nulla dice di per sé. Draghi non pronuncia mai la parola coesione, sociale o territoriale. Non sceglie tra le due teorie in campo: rilanciare la locomotiva del nord che poi traina il paese, o riavviare il Sud come secondo motore dell’Italia necessario anche al Nord, diversamente destinato fatalmente ad arretrare. Qui può rilevare la nomina della Gelmini al ministero per le autonomie. Il ministro Boccia era stato propenso all’appeasement verso l’autonomia differenziata. La sua legge-quadro era un argine troppo debole contro le diseguaglianze e la frammentazione del paese. Potrebbe andar peggio con la Gelmini, già portatrice di una richiesta para-secessionista nella delegazione trattante lombarda per l’autonomia differenziata. Perché Draghi sceglie proprio lei? Per di più Berlusconi la pone ora a capo della delegazione di Forza Italia nel governo. Draghi non cita mai l’autonomia. Ma richiama il Sud solo incidentalmente, ad esempio per le maggiori difficoltà incontrate dalla didattica a distanza, e per il più grave danno al lavoro femminile. Fa riferimento alla medicina territoriale da rafforzare, e alla rete alta velocità, che vedono il Sud in condizioni strutturali di comparativa debolezza. In questi casi una attenzione particolare nel Pnrr può darsi che sia implicita, ma non è dichiarata. Mentre preoccupa il passaggio su un sostegno selettivo alle imprese meglio in grado di rafforzarsi e rilanciarsi, in vista di un tessuto produttivo meridionale comunque più debole. Preoccupa anche il richiamo al rafforzamento delle amministrazioni meridionali per spendere bene i fondi europei, o alla necessità di garantire legalità e sicurezza per attrarre gli investimenti. Ovviamente, siamo d’accordo. Ma sono obiettivi che non si realizzano in una notte, e sui quali si rischia la palude dei luoghi comuni. Qui e ora rimane la falsa rappresentazione del Sud come buco nero per le risorse pubbliche e private, cara agli economisti della Cattolica e della Bocconi e posta a sostegno della locomotiva del Nord? Un discorso tra il detto e il non detto, che non dichiara come obiettivo strategico l’attacco al divario Nord-Sud e alle diseguaglianze. Il richiamo all’unità rischia di rimanere un flatus vocis. Certo, il sostegno a Draghi non va negato. Siamo in un passaggio decisivo per il futuro del paese, e non ci si può chiamare fuori perché la compagnia non è gradita o il programma non piace abbastanza. Questo governo si sposta complessivamente a destra. Ma quanto e su cosa in concreto si collocherà a destra, o guarderà al Mezzogiorno, dipenderà anche dalle forze politiche che lo sostengono. Rileva a tal fine la nascita di un intergruppo di Pd, M5S e LeU, in cui le componenti attente al Sud, potranno, se vorranno, trovare la massa critica per orientare l’azione di governo. Ma questo potrà avvenire solo se la politica, la società civile, le università, le istituzioni meridionali faranno rete e sapranno far pesare le proprie ragioni. Draghi ci dice che vogliamo lasciare un buon pianeta, non solo una buona moneta. Giusto. E se provassimo a lasciare anche una buona politica?
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