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Si ripensi al Sud dopo la crisi di governo
di Massimo Villone da la Repubblica Napoli del 31/1/2021
La (sciagurata) crisi di governo giunge a una prima tappa con l’incarico esplorativo al presidente della Camera Fico. Il mandato di Mattarella si mantiene nel perimetro della maggioranza del governo uscente. Il percorso è accidentato, e gli esiti possibili sono più d’uno, dal Conte ter alla trasformazione in incarico pieno allo stesso Fico. Elezioni anticipate sembrano comunque al momento improbabili. Il dibattito in corso a Napoli sulla prossima elezione del sindaco si lega in vario modo allo scenario nazionale. A Napoli come in altre città verrà testata la fattibilità di una alleanza Pd e M5S. L’obiettivo è stato fallito per le elezioni regionali. Se si riuscisse ora a superare la crisi di governo in atto completando la legislatura, una dimostrata capacità di allearsi nel turno amministrativo sarebbe buon viatico in vista del voto politico. È la via necessaria per evitare una vittoria del centrodestra, in caso contrario secondo molti già scritta. Ma interessa anche il merito del dibattito napoletano. Si vuole rilanciare la città, e non c’è dubbio che vada ritrovata la via di una amministrazione efficiente, di servizi pubblici adeguati, di una qualità di vita accettabile. Sembra di voler risentire oggi, a distanza di quasi trenta anni, il «passo dopo passo» del primo Bassolino sindaco. Mentre la fuga di de Magistris in Calabria chiude un esperimento mai davvero tradotto in buon governo della realtà cittadina. Il merito della discussione rileva anche per altro verso. Il quadro che emerge è tutto centrato sulla città. Questa si mostra, ad esempio, come la giusta lettura dell’ultimo incontro dei Ri-Costituenti. È un ragionamento anche apprezzabile, ma non basta. Non ci può essere rilancio di Napoli al di fuori di un rilancio della regione e di tutto il Mezzogiorno. Un rinascimento per i napoletani racchiuso all’interno della cinta daziaria rimarrebbe asfittico e di corto respiro. Comunque si concluda la crisi di governo in atto, la città e la regione devono invece impegnarsi e perseguire un obiettivo primario: nell’indirizzo politico del prossimo esecutivo – quale che sia - il rilancio del Mezzogiorno deve essere assunto come priorità. Ovviamente e soprattutto nella definizione e gestione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che è l’unica vera occasione di chiudere la faglia che spacca l’Italia. Delle idee in campo, va presa quella del Sud come secondo motore del paese, da ultimo ribadita ad esempio dalla Svimez nell’audizione presso la Commissione Bilancio della Camera il 29 gennaio. Senza, è già dimostrato che la stessa “locomotiva del Nord” non regge il confronto con l’Europa dei più forti, e perde posizioni. Quindi conviene a tutti, anche al Nord, azzerare o almeno ridurre il divario strutturale che appesantisce l’Italia. Non basta una rivendicazione quantitativa sulle risorse disponibili, come nella lettera dei governatori del Sud a Conte. Bisogna puntare a una spesa di qualità volta a un obiettivo strategico, che secondo la lettura prevalente invece manca nella stesura fin qui nota del Piano. Napoli e la Campania devono scendere in campo non soltanto per sé, ma per una visione di sistema di tutto il Mezzogiorno. Come strutturare, ad esempio, il sistema portuale del Sud per farne una piattaforma logistica in chiave euro-mediterranea? Come massimizzare il ritorno degli interventi sulla infrastruttura ferroviaria? Come orientare le politiche per la sanità, l’industria, l’agroalimentare, l’ambiente, la scuola, l’università? Non c’è da illudersi. Forze potenti si muovono in senso opposto, e la centralità del Mezzogiorno riceverà di certo omaggi verbali - anche per un rispetto formale dei parametri Ue - mentre in realtà la locomotiva del Nord mette in pressione la caldaia per ripartire in solitudine. Politica, istituzioni, università, associazioni, sindacati, devono qui impegnarsi. È giustificata la grande attenzione per la crisi sanitaria, economica, sociale, in specie su punti cruciali come i vaccini, la scuola, i ristori, o ancora il rischio che il bisogno apra la via a infiltrazioni criminali. Ma c’è un altro futuro da considerare. Ora o mai più, si potrebbe dire. Se all’uscita dalla crisi il divario strutturale che pesa sul paese fosse invariato, l’accresciuto debito pubblico e la necessità di rientrare renderebbero impossibile contrastarlo efficacemente. Oggi, abbiamo il dovere di difendere chi subisce i colpi della pandemia. Ma dobbiamo anche poter dire domani ai nostri figli e nipoti che non abbiamo mancato l’occasione, e ci siamo battuti per le loro speranze.
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