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Villone: «La privacy non può mettere a rischio la salute pubblica»
di Massimo Villone dal Corriere del Mezzogiorno del 5/11/2020
Sulla tutela dei diritti fondamentali, in tempo di emergenza Covid, si diffonde Massimo Villone, costituzionalista, professore emerito dell’Università Federico II nella quale ha insegnato per più di trent’anni. Professore, che effetto fa sentire scandire in piazza lo slogan “libertà” anche da neofascisti, antagonisti e camorristi? «Una pessima impressione. Tra chi lo grida c’è gente in buona fede, ma anche molti che strumentalizzano la situazione per tirare l’acqua al proprio mulino. La camorra, in particolare, ha tutto l’interesse al disordine». Ha sentito voci sufficienti di condanna? «Mi sembra che ci sia stata una condanna generalizzata, una presa di distanza molto netta». Kant sosteneva che la libertà è poter fare ciò che si deve fare. Come si attualizza questa definizione nei giorni del Covid? «La libertà non ricomprende tutto quello che si vuole fare. Nemmeno quella protetta nella Costituzione garantisce di poter fare quello che si vuole, quando e come si vuole. La libertà è la protezione dall’arbitrio del potere, non dell’arbitrio. Il modello costituzionale definisce l’ambito nei limiti stabiliti dalla legge, per esempio, sanità e sicurezza. Ma il problema, rispetto al Covid, non riguarda tanto i limiti in sé, quanto l’opportunità che questi, molto ampi, possano essere fissati attraverso atti amministrativi (gli ormai famosi Dpcm, ndr) del presidente del Consiglio. E che si possa delegare a presidenti di Regione o sindaci. Le limitazioni erano previste già prima dell’emergenza, per casi territorialmente ristretti come una strada sprofondata o un fiume esondato. Ora, invece, abbiamo limitazioni di libertà in situazioni che non hanno niente di locale perché la pandemia non è locale. Gli atti del presidente del Consiglio, delle Regioni o dei sindaci, a differenza del decreto legge, non sono sottoposti al sindacato del presidente della Repubblica». Pensa che la libertà di manifestazione del pensiero, sancita dall’articolo 21 della Costituzione possa essere limitato dalla raccomandazione del Governo regionale ai dipendenti delle Asl di non rilasciare dichiarazione non autorizzate alla stampa? «Avrei evitato. Mi è sembrata una prescrizione del tutto inopportuna anche perché fa nascere sospetti. Fa venire il dubbio che si voglia nascondere qualcosa». Il diritto alla salute può ammettere scelte tra pazienti per il ricovero? «In questi mesi, scelte dolorose sono già state effettuate. I medici hanno spesso dovuto valutare se ci si trovava di fronte a un paziente che avesse possibilità di recupero o a uno che non avesse prospettiva. Il fatto è che non ci si dovrebbe trovare di fronte a scelte così terribili. Il diritto fondamentalissimo alla salute è uguale per tutti. Ma spesso viene meno l’adeguatezza del servizio sanitario che è strumentale alla realizzazione del diritto stesso. Il difetto, in questo caso, è nel manico, nel governante che non ha preventivamente contenuto il rischio della diminuzione del diritto del governato». Pensa che le norme del titolo quinto della Costituzione sulle distinzioni di potere tra norme nazionali e norme regionali siano abbastanza chiare? «No, non lo sono. Anzi, lo sono ma non giustamente distribuite. Con la riforma costituzionale del 2001 l’organizzazione del servizio sanitario è stato posto, in larga parte, in capo alle Regioni. In conseguenza è calata la distribuzione dei fondi attraverso la Conferenza Stato-Regioni che ha sottofinanziato le regioni meridionali. In Campania siamo più giovani perché moriamo prima, quindi prendiamo meno soldi. Un paradosso». Più in generale, come si raggiunge l’equilibrio tra decisioni centrali e periferiche? «La Costituzione consentirebbe allo Stato di intervenire attraverso tre canali principali in caso di emergenza. Innanzitutto, esiste la competenza legislativa esclusiva in tema di profilassi internazionale. Inoltre, le leggi di principio consentono allo Stato di dettare i principi fondamentali in caso di competenze concorrenti come per la sanità. Infine, è previsto che il Governo possa sostituirsi, in determinate circostanze, a qualunque altro organo di Regione e degli enti locali. Tuttavia, nel caso dell’ordinanza della presidente della Regione Calabria sull’apertura dei bar, il Governo invece di sostituirsi, ha preferito ricorrere al Tar. Lo Stato aveva strumenti più incisivi ma non li ha utilizzati, imboccando la strada della concertazione permanente a tutti i costi. Per questa via il Governo si è in qualche modo indebolito per cui, nei mesi scorsi, ognuno ha fatto come voleva. Ora, invece, con la gente in piazza, i governatori non vogliono assumersi responsabilità. Un balletto tra centro e periferia su provvedimenti che possono erodere il consenso». Come si conciliano il diritto al lavoro e quello alla salute? «Sono entrambi diritti costituzionalmente rilevanti che vanno bilanciati secondo l’insegnamento della Corte. Si tratta di scelte eminentemente politiche, ma credo che quello alla salute vada comunque privilegiato. Occorrerebbe comunque un luogo di confronto qualificato, cioè il Parlamento. Non è Palazzo Chigi a stabilire il punto di equilibrio». Tra salute e istruzione? «Stessa questione. In premessa occorre conoscere esattamente il grado di rischio al quale ci si espone nelle scuole. Su questo punto rilevo un difetto di informazione grave. Capisco la riservatezza, ma il Paese deve avere una rappresentazione chiara». È giusto far sapere che una persona è contagiata? «La persona contagiata è un problema della collettività. La privacy non deve mettere a rischio la salute pubblica. Un minimo di sacrificio della privacy può essere una garanzia per la collettività. È auspicabile comunque che la struttura che detiene i dati sia pubblica». Quando l’emergenza sarà finita crede che la Costituzione materiale risulterà per sempre modificata? «Credo che ci saranno conseguenze di lungo periodo. Per esempio, la rinuncia al potere sostitutivo in tempo di pandemia costituirà un precedente. Sarà un potere sterilizzato, privo di effettività. Non ci sarà mai un contesto che potrà giustificarne l’esercizio. Alle spalle il taglio dei parlamentari, sul tappeto il processo delle autonomie differenziate: l’asse si sposta verso le Regioni. È uno scenario che difficilmente muterà a breve».
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