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II taglio rischia di produrre il blocco dei lavori parlamentari
di Giovanna De Minico dal sole 24 Ore del 16/9/2020
Perché votare no? Ragioni di metodo e di merito. Le prime. La classe politica ha barattato la revisione costituzionale prima con la formazione del governo Conte bis, poi con il suo mantenimento in vita. Così si è confusa la riforma della Carta con un accordo politico di bassa cucina, si è ridotta la materia costituzionale a una querelle spicciola di ordinaria amministrazione, si è negata alla funzione di revisione la forza di durare nel tempo e la capacita di resistere al mutare delle maggioranze di turno. Ma la Costituzione non può cambiare con il succedersi dei governi! Ragioni di merito. La revisione dichiara di voler perseguire obiettivi che non è in grado di realizzare; ridurre i costi della politica e recuperare l'efficienza decisionale del Parlamento. Il primo è sempre un risultato auspicabile, ma è irrisoria la cifra di 57 milioni di risparmio annuo, se si rapporta ai costi complessivi dell'istituzione parlamentare, 1 miliardo e mezzo. La debolezza dell'argomento è tale da non convincere più neanche i suoi sostenitori. Il secondo vantaggio: ridurre di oltre 1/3 il personale elettivo di Camera e Senato per consentire alle due articolazioni di decidere bene e celermente. L'equazione taglio=efficienza rimane affermata, ma indimostrata dai suoi sostenitori. È irragionevole pensare che se 945 individui hanno deciso male fino ad oggi, divenuti 600 improvvisamente sanno decidere. Come accade questo miracolo? L'efficienza decisionale è solo il risultato di una maggioranza politica compatta e condivisa, non dell'esiguità numerica. Quindi non è il taglio delle teste a trasformare coalizioni di governo rissose e inconcludenti in eserciti di soldatini solidali nel voto e disciplinati nei tempi. Anche qui si vuole dedurre a forza da una situazione un risultato che essa non può dare. Questa sforbiciata produce sì un effetto certo: la stasi delle Camere e delle commissioni. Visto che uno stesso parlamentare dovrebbe coprire contemporaneamente più commissioni, queste non riuscirebbero in parallelo a lavorare su più provvedimenti. Il risultato potrebbe essere il blocco dei lavori parlamentari, contro la rapida definizione promessa dalla riforma. Blanditi i cittadini per acquisirne il consenso elettorale col miraggio del risparmio di spesa e dell'efficienza, la riforma tace sull'inevitabile danno a loro procurato: l'indebolimento dei peso politico del voto e l'affievolimento della rappresentatività parlamentare. Se la rappresentatività è la capacità di un'assemblea elettiva di rendere presente nelle decisioni politiche chi presente non è, gli elettori, il corretto funzionamento di questa fictio iuris dipende dall'ampiezza del bacino elettorale. Nel senso che tanto più ampio sarà il primo tanto minore sarà la capacità dell'eletto di conoscere le istanze dei suoi cittadini interpretarle e tradurle in un progetto politico di sintesi. La riforma segna un passaggio significativo perché alla Camera da 95mila abitanti per un deputato si arriva a 150mila, mentre al Senato i 150mila abitanti rispetto a un senatore diventerebbero 300mila. Questo allentarsi del rapporto con l'eletto causa i malanni della crescente disaffezione dei cittadini verso la politica; dell'incapacità dell'eletto di conoscere le istanze dei primi e del conseguente rischio di esporlo alla cattura delle lobby e dei gruppi privati di potere. Il calo della rappresentatività parlamentare iberna dunque la democrazia e apre a decisioni tecnocratiche ed egoistiche, incapaci di una visione generale. Sul piano dei diritti si incide sulla libertà delle libertà, il diritto di voto, che vede sterilizzata la volontà dell'elettore se il voto bloccato gli impedisce di scegliere chi lo rappresenta e lo rende presente nella decisione politica. Va ricordato che la proposta Brescia mantiene la lista bloccata, nonostante la Corte costituzionale abbia ripetutamente dichiarato il voto bloccato incostituzionale, se riferito all'intera rappresentanza parlamentare. Inoltre, la riduzione tiene di fatto fuori dall'agorà politica le forze partitiche intorno al 15% perché opera come uno sbarramento inespresso, che si aggiunge a quello dichiarato del 5%. Ne esce un Parlamento dimidiato, ridotto a una fotocopia sbiadita del Governo perché integralmente schiacciato sulla maggioranza, con le minoranza rimaste a guardare sull'uscio, salvo il contentino del diritto di tribuna. Ma una democrazia tradisce se stessa se esclude dai luoghi istituzionali le minoranza, che peraltro troveranno altrove dove e come esprimere il loro dissenso. Quindi, una riforma presentatasi con voce sommessa “puntuale e circoscritta”, risulta più estesa delle proposte omnibus che la hanno preceduta e soprattutto più pericolosa per la democrazie e l'uguaglianza. In diritto privato si direbbe che ci stanno vendendo un aliud pro alio, con conseguente invalidità del negozio. Ma allora perché questo referendum si ha da fare? E soprattutto, perché votare sì? Giovanna De Minico, Professoressa di Diritto costituzionale, Università Federico II Napoli
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