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Intervista a Massimo Villone «No, perché le minoranze perderebbero la loro voce»
di Il Mattino del 27/8/2020
«Voterò no. È una riforma che non trova valide motivazioni. Per favorire la consapevolezza del merito dei problemi sarebbe stato opportuno separare il voto referendario da quello regionale e locale». Massimo Villone, costituzionalista napoletano e senatore del centrosinistra per quattro legislature, è contrario alla riforma sul taglio dei parlamentari. Non ci sarà alcun vantaggio? «Nessuno. Sul presunto risparmio sono circolate cifre del tutto false. L'Osservatorio sulla spesa pubblica di Cottarelli lo ha quantificato in 57 milioni all'anno, meno di un caffè all'anno per ogni cittadino. Ridicolo. Per questo, si batte ora di più sull'efficienza. Ma cosa vuol dire? Fare più leggi? Farle più in fretta? Quando il parlamento lavora poco e male non dipende dal numero, o dall'ostruzionismo. Dipende dalla litigiosità della maggioranza. È allora che le leggi rimangono nel cassetto, o le decisioni si rinviano all'infinito». Un danno tagliare i parlamentari quindi? «Alla rappresentatività. In Senato, con la riforma, solo due o tre forze politiche riuscirebbero ad avere propri eletti, lasciando senza voce percentuali molto significative del corpo elettorale. Tra l'altro diversificando la composizione tra Camera e Senato, perché alcune forze politiche riuscirebbero ad avere deputati, ma non senatori. I correttivi proposti - peraltro ancora solo ipotesi - ridurrebbero il danno, ma non potrebbero annullarlo». Riforma anti-casta? «Certamente sì. Purtroppo i 5Stelle hanno sin dall'avvio male impostato il problema, forse per l'idea che alla democrazia rappresentativa si possa sostituire la democrazia della rete. Ma proprio la loro esperienza dimostra che il parlamento non è una obsoleta superfetazione istituzionale». Meno parlamentari più poteri ai leader di partito? «È inevitabile che accada. È dal 2006, con il Porcellum, che i cittadini italiani non scelgono i propri rappresentanti». Come votò nel 2016? «No. Era evidente l'ispirazione volta a marginalizzare il parlamento, di cui era espressione il Senato non elettivo». Eppure quasi tutti i partiti sono favorevoli. Convenienza? «Sì, soprattutto per quei partiti che avevano prima votato no, e poi hanno cambiato idea per spianare la strada alla formazione del governo. Un peccato mortale che non si può assolvere. Non si baratta la Costituzione con un governo, quale che sia, pensando in specie l'onda populista». E il ruolo delle regioni? «Già per la pandemia alla marginalizzazione del parlamento è stata associata una concertazione tra esecutivi nella sede delle conferenza Stato-Regioni. Proprio questa esperienza dimostra che non si può sostituire alla sintesi politica nazionale un accordo tra localismi. Si parla di una legge elettorale, assai difficile da condurre in porto, e di almeno una modifica della Costituzione, con la cancellazione della base elettorale del Senato. Inoltre, il centrodestra già ha chiarito il suo progetto istituzionale, articolato su autonomie differenziate, presidenzialismo, giustizia. Alcuni puntano a uno stravolgimento dei connotati fondamentali della Costituzione. La vittoria dei sì potrebbe solo aiutarli».
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