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Il parlamento serve a tutti noi
di Massimo Villone dal Manifesto del 21/8/2020
Oggi il meeting di Cl presenta un evento dal titolo emblematico: «Il parlamento serve ancora?». Troveremo Di Maio e Speranza, poi Boschi, Delrio, Lupi, Meloni, Salvini, Tajani. Facciamo uno scoop: nessuno dirà che non serve. Ma forse sarebbe stato più giusto titolare «A cosa serve il parlamento, e a chi?». Tra i partecipanti troviamo quelli che la democrazia della rete è tempo sostituisca la democrazia rappresentativa, che ci vuole il sindaco d’Italia, che il presidente della repubblica deve essere eletto dal popolo, che il sistema elettorale maggioritario dà subito un vincitore, che il voto bloccato deve garantire al leader una coorte di pretoriani, che il popolo nelle urne elegge un governo che nessuno ha il diritto di ostacolare perché il giudizio spetta agli elettori cinque anni dopo. Il centrodestra si accorda – a quanto leggiamo – su autonomia differenziata, presidenzialismo, giustizia. Il progetto separatista di Zaia viene assunto dalla coalizione. Non c’è dubbio che presenti il conto al parlamento, intaccando il ruolo del legislatore nazionale. La contropartita richiesta da Giorgia Meloni -il presidenzialismo – può solo peggiorare il saldo negativo a carico dell’assemblea elettiva. Tra l’altro, qualcuno dovrà spiegarle che uno stato indebolito non si rafforza con l’elezione diretta di un presidente, che sarà fatalmente anche lui debole. Nel Pd, invece, gli ex renziani tornano all’attacco del segretario. Nardella e Marcucci riprendono il mantra della vocazione maggioritaria. Sembra di sentire il Veltroni del 2008, che ne fu massimo interprete. Pensavamo fosse ormai possibile passare oltre, giungendo senza traumi a una legge elettorale proporzionale. A quanto pare, no. Fa tenerezza Nardella che non accetta l’idea di un partito di medie dimensioni costretto a fare alleanze (Repubblica, 19 agosto). Il Pd oggi è tale non per un destino cinico e baro, ma per la politica di dirigenti come Nardella. Per un trentennio il pensiero dominante e le scelte conseguenti hanno puntato a marginalizzare il parlamento. Se i risultati fossero buoni ne prenderemmo atto. Ma la politica è in degrado, il paese arranca e perde posizioni in Europa e nel mondo, crescono esponenzialmente le diseguaglianze tra persone, gruppi sociali, territori, crollano le speranze di generazioni. Da ultimo, l’emergenza Covid non è passata attraverso un effettivo vaglio parlamentare, che non è in vista nemmeno per le ingenti risorse in arrivo. Si sostituisce al confronto nelle assemblee elettive la concertazione tra esecutivi nelle conferenze stato-autonomie, che qualcuno vorrebbe trasformare in una terza camera para-legislativa. Proprio la pandemia offre l’ennesima prova che bisogna invertire la rotta, riportando in parlamento le grandi scelte. In un tempo di partiti politici evanescenti e – salvo pochi casi – privi di una effettiva organizzazione sul territorio la voce del paese arriva nelle assemblee attraverso gli eletti. Il parlamento serve a tutti noi, perché oggi assai più di ieri è la vera garanzia di una partecipazione democratica. Per questo il taglio dei parlamentari, senza nemmeno la parziale riduzione del danno data dai correttivi che erano stati ipotizzati nell’accordo di governo, va respinto con il No. È un voto che non difende la casta o i parlamentari in carica, che – con eccezioni – poco lo meritano. Né va giocato nella dialettica di maggioranza o di partito. Corregge il peccato originale del baratto tra una riforma di grande portata e un governo. Una Costituzione forte e duratura è una necessità imprescindibile. Nessun governo lo è. Il No ci difende come cittadini, e conforta che nonostante le difficoltà si moltiplichino i comitati e le voci variamente motivate – da ultimo Orfini, e il giornale Repubblica – che lo sostengono. Certo, è solo un primo passo immediato, cui deve seguire la pretesa di un’istituzione parlamento rinnovata. Si può fare, con una legge elettorale proporzionale, che renda le assemblee specchio del paese e rimetta nelle mani degli elettori la scelta degli eletti. E con una legge sui partiti, che garantisca la democrazia interna, la trasparenza, i diritti degli iscritti. Così si torna alla Costituzione e si avvia la ricostruzione della politica. Lo diciamo in specie a Nardella: un grande partito egemone non basta volerlo. Bisogna costruirlo dal basso, mattone su mattone.
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