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Il divario Nord-Sud aumenterà
di Massimo Villone da la Repubblica Napoli del 22/5/2020
Abbiamo finalmente il decreto-legge 34/2020, cosiddetto Rilancio. Un provvedimento di 266 articoli e oltre centomila parole. Rinvii e richiami sono un groviglio fittissimo. Per di più, cade su una preesistente giungla di decreti-legge, dpcm, decreti ministeriali, direttive, ordinanze di commissari, governatori, sindaci. Interpretare e applicare il decreto sarà più difficile che sconfiggere il virus. Un serio problema si pone. Studiosi e analisti segnalano che l’impatto economico della crisi Covid è in prospettiva più pesante per il Sud. Lo ha detto per tempo la Svimez, e lo conferma da ultimo Viesti. Del resto, è intuitivo che una crisi colpisca più duramente laddove il tessuto socio-economico è più fragile. Ne viene che, in assenza di correttivi, il divario Nord-Sud è destinato ad accrescersi. Anche in settori cruciali in cui proprio la crisi Covid ne ha provato la gravità, come la sanità e la scuola. La crisi in atto può essere un punto di non ritorno nella frattura che attanaglia il paese. Ponendo fine alle timide consapevolezze che il dibattito sul regionalismo differenziato aveva fatto nascere, circa la necessità di far ripartire il secondo motore – il Sud – per rilanciare l’intero paese e fondare una nuova unità. Battendo così l’indirizzo da tempo in atto di concentrare le risorse sulla locomotiva del Nord, per accelerarne la corsa staccandola dai vagoni più lenti. Preoccupa allora che siano rimasti nella stesura finale del decreto 34 gli articoli 241 e 242, che aprono la porta a una diversa destinazione di risorse europee e nazionali fin qui destinate prioritariamente al Mezzogiorno. L’allarme era stato già sollevato. Il divario Nord-Sud si può aggredire solo con una politica asimmetrica di destinazione di risorse, e le norme citate prefigurano l’esatto contrario. Tra l’altro ponendosi in diretta contraddizione con una politica chiaramente enunciata con il Piano Sud dal governo prima della crisi Covid. Il ministro Provenzano ha già detto che la riprogrammazione del fondi in danno del Sud non sarà perseguita. Una conferma si trae anche nella sua audizione in Senato presso la Commissione per le politiche europee il 19 maggio. Nell’informativa alla Camera del 21 maggio il premier Conte richiama il «decennio di divari crescenti tra Nord e Sud» ed afferma che per evitarne l’ampliamento è cruciale «sfruttare al massimo le risorse europee per gli investimenti nella questione territoriale». Giusto. Ma allora perché scrivere gli articoli 241 e 242 nel decreto 34/2020? Un indirizzo di governo si desume da una norma scritta in un decreto-legge assai più che dalle dichiarazioni di un singolo ministro o anche di un premier. Se gli articoli 241 e 242 sono sopravvissuti, non è certo per caso. Forse il problema non si porrebbe se si rilevasse nel d.l. 34 una complessiva linea di attenzione per superare o attenuare il divario Nord-Sud. Ma nella miriade di interventi previsti è praticamente impossibile leggere un indirizzo di fondo. Forse, lo vedremo solo a consuntivo. Né dicono il contrario interventi come quello che destina un pacco di milioni al trasporto locale di Taranto (artt. 212 e 213). Del resto, il localismo produce Taranto, ma anche il collegamento Bergamo - Aeroporto di Orio al Serio, o la linea ferroviaria Pontremolese (Art. 208). Le lobbies economiche sono all’attacco – come insegna il prestito Fca – e quelle territoriali non sono da meno. Da qui un suggerimento alla politica meridionale. Fin qui, si è impegnata per qualche giorno in più o in meno su aperture e chiusure, nella faccia feroce ai riottosi e inosservanti del lockdown, nella vagheggiata difesa dei confini. Andava bene nei talk show e come spot pre-elettorale. Ma ora comincia una nuova partita. Dove si indirizzano le risorse ingenti che si rendono disponibili? Dove si decide? Rimarremo nel buio delle conferenze, dove il Sud è stato costantemente messo nell’angolo? O si trova un modo diverso di informare, coinvolgere e sostenere i governati nelle decisioni che riguardano la loro vita e quella dei loro figli e nipoti? E ancora. Riusciremo a raddrizzare la sbilenca e contorta architettura del rapporto Stato-Regioni creata nel Titolo V del 2001, come suggerisce perfino l’Europa? Per ora sentiamo il bellicoso Bonaccini: «Sull’autonomia non intendo arretrare di un centimetro” (Stampa, 17 maggio). E ancora Zaia: «Qualcuno dice che la sanità va riaccentrata. Chi Io dice non ha capito nulla” perché ha sbagliato Roma». (Corriere della sera, 19 maggio). Sono loro i nuovi profeti?
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