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Le risorse sottratte al Sud
di Massimo Villone da la Repubblica Napoli del 8/5/2020
Il Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica (Dipe) di Palazzo Chigi ha da ultimo (aprile 2020) pubblicato un documento su “L’Italia e la risposta al Covid-19). Il punto 3.5 reca “Fondo sviluppo e coesione come possibile fonte di copertura finanziaria di misure per l’emergenza e per sostenere la ripresa economica”. Due ipotesi, in ben dieci pagine (124-134). La prima: riprogrammare i fondi per la coesione territoriale, fin qui destinati per l’80% al Mezzogiorno. La seconda: sospendere la clausola che garantisce il 34% al Mezzogiorno della spesa in conto capitale della pubblica amministrazione. In altre parole, si presenta in specie al Mezzogiorno il conto del coronavirus. Sul punto si apre verso metà aprile una polemica. Palazzo Chigi oppone le smentite di rito, argomentando che si trattava di mere ipotesi mai sottoposte a decisione politica. Smentita forse veritiera dal punto di vista formale, ma comunque debolissima. Perché non è pensabile che il Dipartimento operasse sott’acqua, all’insaputa di tutti. Qualcuno certamente sapeva. Chi? Qualche giorno dopo viene approvato il Def, dal Consiglio dei ministri (24 aprile), e dalle Camere (29 aprile). Leggiamo a pag. 7, che le risorse per fronteggiare l’emergenza sanitaria vengono anche “dai fondi delle politiche di coesione”. In particolare, sarà possibile trasferire risorse “tra le diverse categorie di regioni”. Per intenderci, da quelle in ritardo di sviluppo a quelle sviluppate. Il punto è ripreso a pag. 31. A pag. VI della premessa il ministro Gualtieri scrive che solo dopo le risposte ai problemi immediati dei cittadini e delle aziende e la riapertura dell’economia, «si potranno delineare in modo compiuto le politiche per il rilancio della crescita, l’innovazione, la sostenibilità nel nuovo scenario determinato dal Coronavirus». Un Mezzogiorno in standby. Troviamo una conferma nelle risoluzioni che accompagnano il Def. La maggioranza (6-00108) non menziona il Sud o i temi della coesione territoriale. L’opposizione (6-00106) scrive un corposo punto m) “sul fronte Mezzogiorno” in cui tra l’altro si propone la conferma, ed anzi il rafforzamento della clausola del 34%. Va detto che per l’opposizione scrivere di tutto e di più in una risoluzione non costa nulla, dal momento che è un atto per definizione incapace di impegnare il governo. È dunque normale che una risoluzione di maggioranza sia molto più sobria. Tuttavia, qualche parola sul Mezzogiorno, anche per la recente polemica, si poteva pur spendere. Continua a meravigliare la disattenzione di M5S. Di quella del Pd invece già si sapeva, dai tempi del regionalismo differenziato. Nel contesto descritto il ministro Provenzano rende alla Camera un’informativa urgente “sul rispetto del vincolo di destinazione alle regioni del Mezzogiorno di una quota di investimenti dello Stato” (6 maggio). Non dubitiamo delle sue buone intenzioni, e crediamo che voglia difendere la quota del 34%. Ma riconosce che la Ue apre una porta potenzialmente in danno del Sud, e dice: “La Commissione ci dà la facoltà di spostare risorse da una regione all’altra. Noi non intendiamo avvalercene, non intendiamo spostare risorse dal Sud al Nord». Il punto è che in Consiglio dei ministri si può anche finire in minoranza. In realtà, il Dipe, il Def e il silenzio della risoluzione di maggioranza dimostrano che sono sempre in campo due letture sul futuro. Una, volta a concentrare le risorse sulla locomotiva del Nord, già alla base del regionalismo differenziato; l’altra, attenta al rilancio di un secondo motore produttivo nel Sud, che recupererebbe l’obiettivo della riduzione del divario Nord-Sud e sosterrebbe una ripresa efficace. A tal fine non basta la retorica dei buoni sentimenti e della ritrovata unità. Contano di più la prospettiva di un’Europa avara sugli aiuti, o un commercio internazionale e un turismo che ripartono lentamente. Contare sulle nostre forze è indispensabile. Cosa fa la politica meridionale? Lo ricordino i governatori del Sud che vanno al voto. Oggi, inseguono la riapertura il giorno prima o dopo. Ma quando si voterà - a luglio o più tardi - il tema non sarà quel che avranno fatto per l’emergenza sanitaria. Piuttosto, sarà la capacità di mantenere il Mezzogiorno in campo nella inevitabile competizione sulle risorse.
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