HOME
|
ARTICOLI
|
DOCUMENTI
|
FORUM
|
COMITATI TERRITORIALI
|
INIZIATIVE
|
RACCOLTA FIRME
Tre semplici mosse per evitare la babele politico-istituzionale
di Massimo Villone dal Manifesto del 17/4/2020
Fontana – quello che è cialtrone chi critica o dissente – annuncia fragorosamente che la Lombardia vuole riaprire il 4 maggio con le 4 “D”: distanza, dispositivi (mascherine), digitalizzazione, diagnosi. Un diversivo per distrarre l’attenzione dalle inchieste sulle Rsa, e una ennesima mano nella partita con il governo nazionale. Bene ha fatto il sindaco Sala a chiedere meno chiacchiere e più fatti (Corriere della Sera – Milano, 15 aprile). Ecco il copione. Libero, portavoce del separatismo nordista, titola il 16 aprile: «Il Nord non aspetta più Roma». Il messaggio nell’immediato è che la Lombardia è sempre la locomotiva di testa del paese. Il mantra di domani è: con una maggiore autonomia, avrebbe molto meglio contrastato il virus. Riparte il separatismo, e si vuole che colpe e responsabilità non siano imputabili agli errori (comprovati) degli amministratori lombardi. Come risponde Palazzo Chigi? Parole felpate. Boccia suggerisce a Fontana di portare le sue proposte nella cabina di regia nazionale. Ma la debolezza del governo è nel fatto che ci si avvia alla fase 2 in ordine sparso. Questo giornale (15 aprile) riferisce di oltre seicento atti normativi di autorità diverse, di cui ben 379 a livello regionale e locale. Una babele. L’ultima querelle è sui test sierologici, che o si fanno su tutto il territorio con metodo standardizzato e risultati omogenei e comparabili, o sono inutili. Eppure, non manca il fai da te locale. Si potrebbe evitare la cacofonia? Sì, chiarendo tre punti. Il primo. Non ci si nasconda dietro i tecnici. In emergenza vale il principio di precauzione: quando un rischio è inevitabile, va stabilito il livello entro il quale bisogna misurarsi e accettarlo. Ma questa è una scelta esclusivamente politica. Nella specie, nessun tecnico potrà mai certificare una riapertura a rischio zero. Potrà al più – e forse nemmeno – dire che l’opzione A è più rischiosa della B, o della C. La scelta rimane nella responsabilità di governo e parlamento, ed è inutile moltiplicare comitati e task force. Né serve chiedere ai tecnici risposte chiare (Boccia, Corriere della Sera, 14 aprile) se il problema vero è scegliere tra le opzioni in campo. Ancor meno, poi, spetta ai tecnici disegnare il progetto di paese per il dopo-crisi. Il secondo. Bisogna radicalmente semplificare il groviglio di regole fin qui create. Il tentativo fatto con il decreto-legge 19/2020 non è bastato. Va ridotto lo spazio lasciato ad atti sublegislativi, dpcm o ordinanze regionali e locali che siano. Se poi la cabina di regia serve a qualcosa, non se ne può uscire con la libertà di decidere ognuno per sé. Il terzo. Il governo ha poteri ampi, se vuole e ne ha la forza. Per la riapertura, ad esempio, c’è la potestà esclusiva statale (art. 117, co. 2, lett. e) per la «tutela della concorrenza», sicuramente a rischio in un contesto di riaperture differenziate per territorio, tempi e tipologie. L’art. 120 vieta alla regione di adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le regioni. Lo stesso articolo prevede, per eventuali fughe in avanti, il potere del governo di sostituirsi ad organi delle regioni e degli enti locali (inclusi, quindi, sindaci e governatori). Palazzo Chigi batta un colpo. Per qualche tempo la crisi sanitaria e quella economica cammineranno su binari paralleli. Cadranno sui milioni che già prima del coronavirus vivevano in povertà assoluta o relativa, e su una sanità pubblica gravemente indebolita in larga parte del paese. Cadranno su un esercito di invisibili, di precari, disoccupati, di lavoratori in nero, con il pericolo reale di infiltrazioni criminali. Cadranno su un paese che rischia la fame se non apre a una regolarizzazione – lo ricorda la ministra Bellanova nell’informativa del 16 aprile alla Camera – che contribuisca a fornire all’agricoltura le braccia indispensabili. Invece, qualcuno ritiene utile mettere ai simil-arresti domiciliari fino alla fine dell’emergenza gli over 65 (quasi il 35% della popolazione). Una ipotesi incostituzionale, che bene ha fatto il Comitato nazionale di bioetica a rigettare nel parere sul covid-19. In questo contesto ribollente, l’ineffabile Fontana nelle 4D vede la «via lombarda alla libertà». Da che parte per la libertà dagli sciocchi?
newsletter