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Referendum, la posta in gioco è l'assetto costituzionale
di Massimo Villone dal Manifesto del 15/1/2020
La Corte costituzionale decide sull’ammissibilità del referendum elettorale, ispirato da Calderolo, per un maggioritario di collegio uninominale a turno unico first pass the post. Secondo una consolidata giurisprudenza, il quesito dovrebbe essere considerato inammissibile. Lo argomenta bene Azzariti su queste pagine. Non c’è modo, quale che sia il trucco – deleghe o conflitti di attribuzione inclusi – che dal voto esca una disciplina auto-applicativa e tale da consentire la costante operatività indispensabile per l’organo costituzionale parlamento. Voci autorevoli anche non di sinistra esprimono perplessità o contrarietà all’iniziativa referendaria (Cassese, Corriere della sera, 11 gennaio; Mirabelli, Messaggero, 13 gennaio). Sul fronte opposto si vorrebbe invece un ammorbidimento della giurisprudenza della Corte ritenuta troppo rigorosa (Guzzetta, Federalismi.it, 8 gennaio). Secondo i rumors, la tesi dell’ammissibilità trova ascolto in Corte, e gli addetti ai lavori possono bene avere un’idea di quali giudici siano disposti ad ascoltare. Troviamo antichi e nuovi epigoni del maggioritario senza se e senza ma nonostante le molteplici prove contrarie offerte dalla storia recente. Vedremo. Ma cosa accadrebbe se la Corte cambiasse linea e considerasse il referendum ammissibile? La destra e ancor più la Lega hanno un interesse speciale per un maggioritario first past the post. Non a caso, Salvini si dichiara in queste ore per un ritorno al Mattarellum (75% di collegi). In passato ci aveva già informato di gradire il Rosatellum vigente. La spiegazione è semplice. Negli attuali equilibri del sistema politico vediamo tre poli – destra, M5S, Pd – di cui uno molto più forte degli altri. La linea del capo politico M5S Di Maio si oppone ad alleanze tra i due poli più deboli. Ne segue che in un sistema first past the post la destra potrebbe puntare a un quasi cappotto, reso più agevole dal taglio del numero dei parlamentari e dall’omologazione tra camera e senato. Persino la Lega da sola avrebbe la possibilità di stravincere. Si potrebbe obiettare che anche il proporzionale con soglia proposto dalla maggioranza non impedirebbe la vittoria della destra. Infatti, se i frammenti a sinistra del Pd mancassero la soglia, il rifluire sui soggetti politici maggiori dei seggi non assegnati potrebbe portare una coalizione di destra non lontana dal 50% dei voti verso il 54/55% dei seggi, ben oltre la maggioranza assoluta. E quindi? Ma c’è una differenza tra le due ipotesi, ed ha a che fare con il dopo. Non è un mistero per nessuno che la destra ha – e ha sempre avuto – tra i suoi obiettivi di fondo il presidenzialismo e l’elezione diretta del capo dell’esecutivo. In entrambi gli scenari prima delineati potrebbe avere i numeri per una riforma stravolgente della Costituzione. Ma ben diverse sarebbero le maggioranze. Un sistema elettorale tutto first past the post potrebbe portare la destra egemone vicino ai due terzi richiesti per evitare il voto popolare, magari con l’aiuto di qualche acquisto sul mercato parlamentare. Allora è qui la vera posta della decisione della Corte costituzionale: se all’avvio di una stagione di egemonia politica della destra si consegna nelle mani dei vincenti la possibilità di riforme costituzionali radicali senza la verifica del voto popolare. Ed è appena il caso di notare la sinergia con il regionalismo differenziato. L’Italia degli staterelli ritroverebbe l’unità della Repubblica nell’elezione popolare diretta del capo. In politica tutto è rebus sic stantibus, e dunque molto potrebbe accadere e produrre scenari diversi. Ma il declino di M5S appare strutturale, e nessuno crede che possa tornare ai fasti del 4 marzo 2018. La fatale dichiarazione di Di Maio subito dopo il voto in Umbria sul ritorno alle origini e il no ad alleanze strategiche con il Pd ha consegnato il Movimento alla marginalità. In Emilia-Romagna la corsa solitaria è un lose-lose. Se Bonaccini perde, sarà colpa di M5S. Se vince, sarà dimostrata l’inutilità di M5S. Dal canto suo, Zingaretti apre sul partito nuovo, ed è probabilmente la sola mossa di cui dispone. Ma, anche se il feudalesimo interno glielo consentirà, forse non potrà rendere il Pd competitivo con la destra in tempi brevi. Renzi rimane al palo, e a sinistra del Pd non si supera la frammentazione. Quindi una stagione di egemonia della destra è possibile, o probabile. Una pronuncia della Corte costituzionale nel senso dell’ammissibilità del quesito referendario potrebbe aprire la porta a un secondo atto il cui copione in parte è già scritto. Fantapolitica? Forse. Comunque, di una sola riforma il centrosinistra dovrebbe oggi prioritariamente occuparsi: mettere in sicurezza la Costituzione. Limando poche parole nell’articolo 138, si potrebbe portare il quorum richiesto per la revisione sui due terzi degli aventi diritto, e rendere il referendum necessario. Presentare oggi una proposta in tal senso potrebbe far uscire allo scoperto la destra e svelarne i disegni. Cosa aspettiamo?
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