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Intervista a Massimo Villone - «Mattarella recupera la Costituzione e smonta il separatismo nordista»
di Massimo Villone dal Quotidiano del Sud del 3/1/2020
Con il suo discorso di fine anno «Mattarella smonta il fondamento del separatismo nordista che fonda la originaria richiesta di Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna». A48 ore di distanza, Massimo Villone, costituzionalista e professore emerito all'Università Federico II di Napoli, legge così le parole del Capo dello Stato sul divario fra Nord e Sud». Professore, un articolo pubblicato nel 1972 sul Corriere della Sera datava la fine del divario nel 2020. Direi che non ci siamo, possiamo darci una nuova scadenza? «Non basterebbe una palla di cristallo. Si prospetta oggi come principale strumento di correzione la destinazione del 34% delle risorse pubbliche al Mezzogiorno. Anche a non voler considerare che la promessa non è nuova, è chiaro che si tratta solo di allineare le risorse con la popolazione. Il minimo. Possiamo solo esser certi che recuperare il divario sarà cosa né facile né breve». Il gap fra le due metà dell'Italia è stato citato anche dal Capo dello Stato durante il discorso di fine anno. «A subirne le conseguenze non sono soltanto le comunità meridionali ma l'intero Paese, frenato nelle sue potenzialità di sviluppo» ha detto Mattarella. Che impressione le ha fatto? «Buona per questo specifico punto, colto anche dal direttore Napoletano su queste pagine. Mattarella smonta il fondamento del separatismo nordista che fonda la originaria richiesta di Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, e assume: a) è necessario accelerare per reggere nella competizione globale ed in specie agganciare le economie forti di Europa; b) non tutto il paese può farcela, ma solo la locomotiva del Nord, che va quindi liberata dal peso dei vagoni più lenti; c) ridurre il divario Nord-Sud reca danno al paese, perché le poche risorse disponibili vanno invece concentrate su chi può farcela. Si assume come corollario che lo scacchiere euromediterraneo sia strategicamente cedente, e che comunque l'Italia non abbia in esso una qualsiasi centralità. È un disegno incostituzionale e tuttavia trasversale e certo non solo leghista, che troviamo nel PD e persino in M5S, e sostenuto da economisti di peso. Un disegno sostenuto dalla narrazione di un Sud male amministrato e clientelare quando non malavitoso, e di un nord virtuoso ed efficiente. Una rappresentazione che, senza voler fare sconti ad alcuno, è lontana dalla realtà. La tesi opposta invece considera vincente un paese unito, in cui un comune interesse lega le due Italie. È una tesi che recupera la Costituzione, ed è sostenuta da studi autorevoli, come ad esempio quelli Svimez. Ora è chiaramente assunta da Mattarella nella propria esternazione». Dati alla mano, quelli prodotti dalla Svimez, l'economia del Mezzogiorno non si è solo fermata, è addirittura in recessione già dallo scorso anno con un vistoso -0,2% del pil. Quest'anno è prevista una crescita debolissima, di molto inferiore rispetto al resto del Paese. Come se ne esce? «La chiave principale è un massiccio aumento degli investimenti pubblici nel Mezzogiorno, soprattutto volto a recuperare il gap di dotazione delle infrastrutture materiali e immateriali. Con la cancellazione della questione meridionale al Mezzogiorno sono state indirizzate sostanzialmente le sole risorse europee, sostitutive rispetto a quelle nazionali invece che aggiuntive come avrebbero dovuto essere. Per non parlare degli economisti iper-liberisti che giungono a considerare le risorse al Mezzogiorno come un danno per lo stesso Mezzogiorno. Un paradosso buono per i salotti di certa accademia, che la gente del Sud ha pagato e paga sulla propria pelle». L'Ilva a un passo dalla chiusura, la Banca popolare di Bari a rischio default: è il tessuto economico e produttivo meridionale che si sgretola. Spesso si sente parlare di nazionalizzazione, può essere una soluzione valida? «Personalmente condivido l'opinione che sia necessario ripensare a fondo la stagione delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni, in cui non mancano ombre anche pesanti. Ritengo però difficile una rinascita dell'lri, o un ritorno allo Stato che faceva panettoni. Penso si debba puntare è una presenza mirata dello Stato in settori strategici, dove è in gioco un interesse nazionale. Così è sia per l'acciaio, sia per le banche, dove è in questione non solo il tessuto economico meridionale, ma per molti versi il sistema paese. Sulle modalità della presenza pubblica poi si può discutere». Lei si è speso in prima persona contro il progetto di autonomia differenziata portato avanti dalla Lega nel corso del primo governo Conte. Oggi ci sta riprovando il ministro Boccia, partendo da una legge quadro, comune a tutte le regioni. Da costituzionalista e da meridionale, la convince? «Assolutamente no. Pensare di imbrigliare la spinta centrifuga del grande Nord separatista con uno strumento tecnicamente debole come la legge-quadro di Boccia è pura illusione. È una legge ordinaria come le altre, e non offre alcuna resistenza a modifiche o deroghe per singole regioni. Alla fine, direbbero i giuristi, tamquam non esset. Come se non ci fosse. Bisogna invece, con un dibattito nell'opinione pubblica, in parlamento, tra gli esperti e studiosi, giungere a una lettura corretta dell'art. 116 Cost., come norma volta a un adattamento limitato e puntuale delle forme di autonomia, per specificità locali e rigorosamente dentro una dimensione regionale. Vanno chiariti i limiti oltre i quali l'autonomia apre la via all'Italia degli staterelli. Con la maggiore autonomia, e non dopo, vanno definiti i modi e i tempi di una redistribuzione delle risorse pubbliche a favore dei territori oggi sfavoriti. Non basta per tutto questo, come invece sembra pensare Boccia, che siano d'accordo i governatori. A una Italia di staterelli potrebbero bene essere interessati, anche se fosse in danno dei propri governati».
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