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Sud, se davvero qualcosa è cambiato
di Massimo Villone da la Repubblica Napoli del 4/10/2019
Stando alle parole, qualcosa è cambiato passando dal gialloverde al giallorosso. Nel Documento di economia e finanza del 9 aprile 2019, a firma Conte e Tria, le parole Mezzogiorno, Sud, riequilibrio, eguaglianza non comparivano. Era un esito coerente con il “contratto di governo”, che al punto 25 affermava testualmente: “Con riferimento alle Regioni del Sud, si è deciso, contrariamente al passato, di non individuare specifiche misure con il marchio Mezzogiorno”. Una posizione davvero singolare, visto che il voto del 4 marzo 2018 là collocava la cassaforte elettorale M5S. Dall’aprile 2019 ad oggi la condizione dell’economia e della finanza pubblica non è cambiata certo in meglio. Anzi. Ma con la nota di aggiornamento al Def del 30 settembre, a firma Conte e Gualtieri, il Mezzogiorno torna nell’agenda politica del paese. “Gli investimenti pubblici verranno destinati anche alla riduzione del divario tra il Sud e il Nord del paese, che è questione centrale della strategia di politica economica del Governo” (pagina IV). Il cambio di strategia è così motivato: “… Senza un recupero del Mezzogiorno e senza la sua integrazione nelle dinamiche più vivaci del tessuto produttivo e sociale del Paese l’economia italiana non potrà raggiungere il suo potenziale di crescita sostenibile (pagina IV)… …”. Soprattutto, “non esiste crescita del Paese senza un Sud che cresca. Per superare il divario economico e sociale esistente tra Nord e Sud, occorre prevedere un piano straordinario di investimenti per il Mezzogiorno” (pagina 80). Si aggiunge poi il richiamo al Sud in specifiche politiche di settore, come gli asili nido e micro-nidi (pagina 87) o le infrastrutture di trasporto (pagina 90). Si richiama la rilevanza dello scacchiere mediterraneo (pagina 93) e si ribadisce la destinazione del 34% di investimenti pubblici (pagina 94). Il punto politicamente significativo è che riprende vita la questione meridionale. Si abbandona la tesi della locomotiva del Nord che deve agganciarsi alle economie forti dell’Europa e va per questo liberata dal peso morto dei troppo lenti e irrecuperabili vagoni del Sud. Questa concezione ha orientato le politiche di governi di vario colore, e ha retto la vicenda del regionalismo differenziato, a partire dai pre-accordi Gentiloni-Bressa del 28 febbraio 2018 con Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Su questa base si è affermato che bisogna far correre Milano, pur sapendo che si rallenta inevitabilmente Napoli (Tabellini, Il Foglio, 04.05.2019, e in parte Padoan, ivi, 07.05.2019). Così la riduzione del divario Nord-Sud è rappresentata come un costo intollerabile per il sistema paese. Qui il cambio di rotta. Non deve correre solo la locomotiva del Nord, ma la locomotiva Italia. Ridurre il divario Nord-Sud è nell’interesse di tutti, e non solo del Sud. È una novità positiva, che trova in specie dimostrazione nel momento in cui il ciclo economico rallenta nelle economie europee più forti. Ma gli oppositori non mancano. In questa chiave si spiegano le non poche diffide all’esecutivo, comparse anche sulla grande stampa nazionale, a non governare contro il Nord. Una parte dell’Italia che conta considera politiche nazionali che puntino all’eguaglianza dei diritti e al riequilibrio territoriale anti-nordiste di per sé, perché sottraggono carbone alla locomotiva del nord che deve accelerare. Conta anche che nella nota di aggiornamento fra i collegati il governo include un ddl “recante interventi per favorire l’autonomia differenziata ai sensi dell’articolo 116 comma 3 della Costituzione attraverso l’eliminazione delle diseguaglianze economiche e sociali nonché l’implementazione delle forme di raccordo tra Amministrazioni centrali e regioni, anche al fine della riduzione del contenzioso costituzionale”. Non sfugge a nessuno che senza una discontinuità davvero radicale rispetto al pregresso – e qui pesano le ambiguità terminologiche - l’autonomia differenziata contraddice la strategia verso il Sud prima richiamata. Il regionalismo di Fontana Zaia – e non lontano si colloca Bonaccini – è funzionale al separatismo nordista, ancora pienamente in campo. L’arco del Nord è già a dominanza leghista, e in Umbria ed Emilia-Romagna il voto è prossimo e incerto nell’esito. La cautela è d’obbligo, e si vedrà se ai buoni propositi seguiranno i fatti. Ma intanto partiti, movimenti, istituzioni del Sud diano segnali di vitalità, di rinnovamento, di recupero di best practices politiche e amministrative, di capacità progettuale. In politica chi si vuole suicidare trova sicuramente chi lo assiste.
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