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RACCOLTA FIRME
I nodi della giusta autonomia
di Massimo Villone da la Repubblica Napoli del 11/9/2019
Nel lungo discorso per la fiducia del premier Conte nella Camera dei deputati non c’è stata novità rispetto al programma concordato dalla nuova maggioranza sul regionalismo differenziato (poi nemmeno menzionato nella replica in Senato). Con la formula “completare il percorso di una giusta autonomia” tutto rimane possibile. Non c’è dettaglio o chiarimento su limiti non superabili alle pretese separatiste, su una distribuzione delle risorse equilibrata e conforme alla Costituzione e alle leggi, sulla piena partecipazione del parlamento alla formazione delle intese. È indispensabile una più decisa e puntuale discontinuità. Il Forum Ambrosetti di Cernobbio ha visto protagonisti i governatori Fontana, Zaia, Bonaccini e De Luca. In specie Fontana ha messo in campo una novità, prospettando una via all’autonomia con una forzatura in salsa catalana. Se non fossero accettate le pretese su scuola e sanità, la Lombardia sarebbe pronta a fare da sola, con una propria legge. Perché tanta arroganza? Sulla scuola – essendo la sanità già ampiamente nelle mani delle regioni - si gioca una partita importante. Quello che importa davvero è regionalizzare – e gestire - il personale, docente e non. Decine di migliaia di persone, che entrano nelle famiglie sul terreno sensibile della formazione dei figli. Uno strumento cruciale di costruzione del consenso. Ma se la Lombardia può fare da sola, perché il tormentone delle intese? Le Regioni hanno già una potestà concorrente per la scuola (articolo 117, comma 3). Qui è probabilmente l’ingresso per la forzatura ipotizzata da Fontana. Ma allo Stato rimane sia la potestà di dettare i principi fondamentali della materia, sia una potestà esclusiva per le “norme generali” (articolo 117, comma 2). Le intese per Lombardia e Veneto smantellano o ritagliano entrambe le potestà, puntando a togliere allo Stato gli strumenti per una gestione nazionale e unitaria della scuola. Obiettivo che oggi non può essere perseguito nei termini voluti dai secessionisti, o che può essere comunque bloccato dallo Stato. Questo serve anche a chiarire il nodo dell’Emilia-Romagna. Bonaccini insiste sulla costituzionalità e diversità della sua “buona” autonomia rispetto al separatismo di Veneto e Lombardia (La Stampa, 8 settembre). Ma riprende tutti i luoghi comuni che ne sono alla base, a partire da quello delle Regioni virtuose. In specie, è vero che Bonaccini chiede di fatto per la scuola essenzialmente la formazione professionale. Ma include tra le materie per cui si chiede maggiore autonomia anche le “norme generali” di cui all’articolo, 117, comma 2. In principio e in prospettiva, nelle bozze di intesa del 15.05.2019 il quadro emiliano-romagnolo coincide con quello lombardo-veneto. Chi può garantire che, nel caso non impossibile che la Lega vinca nel voto regionale ormai vicino, la «buona autonomia» di Bonaccini non venga aggiornata alla bulimia di Fontana e Zaia? Per non dire poi che sulle risorse l’Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto coincidono. Si condivide la pubblicità ingannevole di chi non chiede un euro in più. Così è stato coperto per anni il grande imbroglio esemplificato da zero asili con zero fabbisogno. A Cernobbio Fontana, Zaia e Bonaccini hanno fatto fronte sostanzialmente comune. A loro sono allineati Cirio (Piemonte) e Toti (Liguria), che minaccia un referendum. Zaia annuncia come «inevitabile» la discesa in piazza dei veneti, e non è la prima diffida (anche Salvini in Senato ha anticipato opposizione nelle piazze). Con le Regioni a statuto speciale, l’arco del grande Nord è completo. Il linguaggio morbido di Conte, che lascia Boccia solo nel rifiuto dei diktat, può non bastare. De Luca ha cercato una posizione diversa: nessuna pretesa per scuola e sanità, e difesa degli interessi del Mezzogiorno. Bene, se ha capito che non serve mettersi in fila per i resti del banchetto altrui. Ma una voce isolata non basta. Va costruito un fronte comune del Sud, per bilanciare quello dell’arco alpino. La pressione separatista non cala, e trova voci autorevoli. Tabellini, prestigioso ex rettore della Bocconi, ministro in pectore dell’Economia nel mai nato governo Cottarelli, ci aveva già spiegato che bisogna far correre Milano rallentando inevitabilmente Napoli (Il Foglio, 04.05.19; lo aveva sostanzialmente seguito Padoan, Il Foglio, 07.05). Ci spiega ora che il divario crescente tra Nord e Sud viene dai salari comparativamente troppo alti nel Mezzogiorno. Anche il salario minimo va differenziato (Il Foglio, 07.09). Il Sud stia sereno: il divario con il Nord si può sanare. Lavorando di più e guadagnando di meno.
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