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Regionalismo all'emiliana
di Massimo Villone da la Repubblica Napoli del 18/6/2019
Il voto europeo del 26 maggio ha confermato nell'agenda politica il "regionalismo differenziato". Nel medesimo senso sembra andare il voto in Sardegna di domenica 17 giugno. Mentre si colgono sulla stampa cenni a una possibile convergenza sul modello Emilia-Romagna, la cui richiesta di maggiore autonomia sarebbe meno dirompente rispetto a quelle avanzate da Lombardia e Veneto. Tale è certamente l'immagine che il presidente Bonaccini cerca, con qualche affanno, di dare. Nell'audizione del 6 giugno 2019 presso la commissione parlamentare per le questioni regionali l'intenzione è evidente. Anzitutto sottolinea la concertazione da cui parte la proposta: «I comuni, le province, le Camere di commercio, le quattro università, tutte le associazioni di categoria economica, tutte le organizzazioni sindacali, i professionisti e addirittura il Forum del terzo settore. Tutti questi soggetti con noi, con me hanno partecipato alla redazione del progetto». Come dire, una spinta popolare reale, e non uno scontato voto referendario una tantum. Precisa che la regione non vuole mettere le mani sul personale della scuola (ma, aggiungiamo, su molto altro in materia di istruzione certamente sì). Non chiede un euro in più di quanto già lo Stato spende oggi, ma «anziché decidere anno per anno e magari a fine anno, quando non si riesce più a spendere, chiediamo la serietà della programmazione». Vuole uno Stato forte e funzionante, e perciò non chiede la promozione turistica dell'Emilia Romagna nel mondo, o la strategia energetica, o la regolazione delle professioni (ma chiede sostanzialmente tutto il resto, a partire dalle infrastrutture). Considera garanzie di sistema il richiamo alla spesa storica, o i Lep livelli essenziali delle prestazioni) che vanno stabiliti. In replica, giunge a dire che «parlare troppo spesso e per troppi mesi di nove decimi di fiscalità è secessione, non è autonomia (lo capite tutti). Nemmeno un Governo monocolore leghista (parere tutto personale) darebbe e lascerebbe in un territorio tutte le tasse trattenute in una regione, perché significherebbe staccare quella regione dal resto del Paese». Un attacco nemmeno troppo velato al Veneto. Bonaccini vuole essere il poliziotto buono, lasciando Fontana e Zaia nel ruolo di quello cattivo. Ma è una posizione smentita nei fatti. Anzitutto, dalle sue stesse parole quando afferma: «Non ha alcun senso discutere sul numero di materie richieste. L'articolo 116 indica certamente i titoli delle materie stesse, ma, visto che nessuno ha mai scomposto davvero questi titoli in funzioni, che sono la cosa che realmente conta, se non si entra concretamente nel merito di quali funzioni esattamente si propone il trasferimento, può starci tutto e il contrario di tutto». Giustissimo. Proprio questa è una delle critiche di fondo. Le intese ("parte generale concordata" pubblicata sul sito del ministero Autonomie) prevedono, con formula identica per le tre regioni, che il merito sarà stabilito da commissioni paritetiche ministero-regione, e sarà tradotto in decreti del presidente del Consiglio dei ministri. Ad oggi, non si sa quale sia, e a seguire non si sa dei costi (lo dice anche Tria) o dell'impatto di sistema. Tuttavia, si insiste per l'approvazione con legge. Di cosa? Di una scatola sostanzialmente vuota, da riempire più tardi. Un modello palesemente incostituzionale. E se poi la Regione Emilia-Romagna finisse a breve -come molti temono - in mani leghiste? Dove finirebbero i buoni propositi in una sede paritetica tra ministra leghista e regione leghista? Le anzidette proposte di intesa (è possibile leggerle In parallelo come allegato nel mio Italia, divisa e diseguale, download gratuito da www.editorialescientica.com) sui punti che contano coincidono praticamente parola per parola. Così è specificamente per le risorse (art. 5). Spesa storica, transitorio con Lep e fabbisogni standard, decorso il transitorio garanzia del valore medio nazionale pro-capite come soglia minima, garanzia di mantenere l'aumento del gettito tributario maturato nel territorio, riserva sui fondi per lo sviluppo infrastrutturale del paese. Rimangono tutte le critiche da me e da altri avanzate. Il buonismo di Bonaccini è solo marketing politico. L'unità del Paese richiede che si formuli in termini adeguati all'oggi una nuova questione meridionale, da riportare nell'agenda politica. Di questo si discute venerdì 21 a partire dalle 9.30 tra Sandro Staiano, Gianfranco Viesti, Marco Esposito e me, presso il Dipartimento di giurisprudenza della Federico II in Corso Umberto I.
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