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Pomicino nuoce al Pd
di Massimo Villone da la Repubblica Napoli del 17/5/2019
Ha suscitato commenti negativi l’avvicinamento di Zingaretti a Pomicino. Forse preoccupa ancor più la disponibilità manifestata da quest’ultimo, per il segnale emblematico che ne verrebbe circa la credibilità di un segnale di svolta che il Pd volesse dare. Dati i tempi e i modi della mossa, Zingaretti deve aver ritenuto il contatto con Pomicino elettoralmente pagante. Non sappiamo quanto la rete di consenso personale di Pomicino – un tempo indubbiamente estesa- sia ancora operante. Può darsi, o no, che abbia ancora la disponibilità di un pacchetto di voti, espressione di una fedeltà resistente nei secoli. Ne dubitiamo, ancorché indubbiamente sia persona di notevole intelligenza politica. Ma siamo abbastanza certi che nell’immediato una sinergia col Pd, o ancor più un trasloco di Pomicino in casa Pd, farebbe perdere più voti di quanti se ne potrebbero mai guadagnare. E siamo del tutto certi che in prospettiva più lunga è l’esatto contrario di quel che serve al Pd. Il Pd a Napoli e in Campania è in gravissimo affanno. Ma era in condizioni comatose da tempo. Renzi aveva dichiarato con piglio militaresco che avrebbe usato un lanciafiamme. Ci aspettavamo di vederlo splendente incotta di maglia all’assalto delle fortezze clientelari. Non abbiamo visto nemmeno un fiammifero. Sono arrivati commissari, poi ripartiti con le pive nel sacco, mentre la politica locale si è rivelata impermeabile a ogni intromissione. Tutto è rimasto com’era. E ora la mossa di Zingaretti offre il messaggio – negativo - che anche nel Pd del nuovo segretario tutto rimarrà uguale. Tutto questo per una parte è conseguenza di una politica nazionale indebolita al punto di essere una sommatoria di feudi locali. Oggi, il leader nazionale di un partito esiste e conta per il sostegno che riceve dai capi e capetti locali, che in ogni occasione esigono la propria libbra di carne. Nel Pd, questo ha conclusivamente generato l’endorsement della leadership di Renzi e del dopo-Renzi all’uomo forte De Luca. E ora genera l’apparente paradosso di vedere insieme candidati come Roberti alle Europee e mister “fritture di pesce” a Paestum. Ma per una parte è l’effetto di un errore politico. Non è utile, e tanto meno elettoralmente pagante, tornare al passato quando le condizioni sono totalmente diverse. I fasti di Pomicino risalgono ai tempi in cui le risposte al territorio, e la cura del consenso anche clientelare, si realizzavano tirando la coperta del debito pubblico. Ora questa via con ogni evidenza non è più percorribile. La domanda è: quale effettivo contributo di pensiero e di opere può dare un Pomicino nel nuovo contesto al progetto politico Pd? Una lettura accomuna Pomicino e il desiderio di Bassolino di tornare sulla scena in uno stesso contenitore di ritorno al passato. Ma vanno colte le differenze profonde. L’era di Bassolino è già post-pomiciniana, ed anzi esprime la reazione alla stagione precedente. Il migliore Bassolino è quello della prima stagione dei sindaci, eletti direttamente sulla base di una legge che voleva innovare la politica con un nuovo radicamento e un cambio di classe dirigente. Oggi, l’unico punto in comune tra l’era Pomicino e l’era Bassolino è nel fatto che entrambe non sono replicabili. Bassolino operava quando i partiti ancora esistevano come organizzazione e militanza. Forse Bassolino non sarebbe d’accordo, ma personalmente sono convinto che gran parte del suo successo come sindaco venne dal partito, che con l’impegno dei militanti accompagnò e sostenne la sua azione amministrativa. Inoltre, la statura indubbiamente anche nazionale di Bassolino pesava in un momento in cui ancora almeno in parte sopravviveva la solidarietà verso il Mezzogiorno e l’obiettivo di ridurre il divario Nord-Sud. La domanda è: cosa potrebbe davvero fare oggi Bassolino, senza il sostegno di quel partito, di fronte a un regionalismo differenziato volto a mettere nell’angolo Napoli, la Campania e tutto il Mezzogiorno? E questo ci porta all’ultima domanda, per Zingaretti. Invece di cercare improbabili alleanze, perché non pone fine all’afasia del Pd sul regionalismo differenziato? Ci dica cosa vuol fare. La voce autorevole di Giuseppe Tesauro lo definisce un golpe. Bisogna rispondere. O forse Zingaretti pensa che il Pd avrebbe migliori prospettive di rinascita nel Sud se risultasse chiara l’incapacità di superare il peccato originale del preaccordo del governo Gentiloni con Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, e la subalternità al disegno di liberare la locomotiva del Nord dall’impedimento dato dai vagoni più lenti?
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