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Una battaglia contro il regionalismo differenziato
di Massimo Villone dal Manifesto del 10/5/2019
Come era prevedibile, nella colluttazione governativa la revoca del sottosegretario Armando Siri spinge la Lega a richieste aggressive su altri fronti. Tra questi il regionalismo differenziato, che ancora una volta la ministra Stefani definisce come ormai «sdoganato». Su queste pagine ho descritto il regionalismo differenziato come disegno politico volto a scommettere sul divario tra Nord e Sud, per liberare dal peso dei vagoni più lenti la locomotiva del Nord e favorirne l’aggancio all’Europa. Ecco qualche citazione a sostegno della mia tesi. Il 4 maggio 2019 Guido Tabellini scrive sul Foglio: «Le politiche più efficaci per avvicinare l’Italia all’Europa sono anche quelle che aumentano la distanza tra Milano e Napoli, tra aree avanzate e arretrate del paese. Per contrastare questi divari senza ostacolare la parte più moderna del paese, occorre investire di più in istruzione e far funzionare meglio la Pubblica amministrazione nelle aree disagiate. Più facile a dirsi che a farsi, purtroppo, soprattutto nei tempi brevi imposti dalla politica». Tabellini non è un quivis de populo. Ex rettore della Bocconi, studi e insegnamento all’estero, tra i 35 saggi di Letta per le riforme istituzionali, ministro dell’economia in pectore nel mai nato governo Cottarelli – in cui avrebbe preso il posto di Savona – e altro ancora. Una perfetta espressione dell’establishment. Il 7 maggio sullo stesso giornale Pier Carlo Padoan, predecessore di Tria per 4 anni nei governi Renzi e Gentiloni, commenta Tabellini e la legge di bilancio gialloverde. Padoan accetta in premessa che la crescita del paese è trainata dalla crescita del nord, ma questa avviene a scapito della crescita del sud». L’effetto negativo si può evitare, ma “dipenderà dalla efficacia del meccanismo di diffusione della tecnologia dalla parte più avanzata verso la parte meno avanzata del paese», che richiede la disponibilità da parte delle regioni periferiche «delle risorse, capitale umano, immateriale, istituzionale e sociale, necessarie per tradurre l’assorbimento delle nuove tecnologie generate nelle regioni centrali. Se la diffusione sarà efficace la distanza tra Milano e Napoli tenderà a ridursi invece che ad aumentare e così tutto il paese e non solo Milano potrà avvicinarsi all’Europa». In sostanza, Tabellini e Padoan dicono la stessa cosa: in ogni caso, avanti i più forti. E nello scritto di Padoan i passaggi chiave su una crescita di tutto il paese sono: sarà possibile se la «diffusione della tecnologia» verso i più deboli avrà luogo, e se ci saranno le condizioni per la sua efficacia. Due «se» molto pesanti. Leggendo Padoan capiamo che il famigerato pre-accordo del 28 febbraio 2018 tra il governo Gentiloni e Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna non era un errore, una captatio benevolentiae pre-elettorale, o la distrazione collettiva di un governo sul letto di morte. Stupiscono meno l’Emilia-Romagna tra le regioni richiedenti, e il perdurante silenzio del Pd, anche nell’era Zingaretti. Traspare un consapevole obiettivo di chi faceva e fa parte dei processi decisionali reali che orientano il paese e le scelte di chiunque governi. Un disegno politico condiviso dall’Italia che conta e decide. Non sorprende che – a quanto si dice – Tabellini sia stato preso in considerazione come possibile ministro anche dai gialloverdi. In questa luce il regionalismo differenziato non è solo un miserabile e banale egoismo leghista. Certo, la Costituzione dice l’opposto. Partendo dalla persona e da eguali diritti arriva – nonostante l’art. 116 – alla riduzione del divario strutturale come obiettivo primario e irrinunciabile. Ma non bastano a fermare il processo in atto i richiami alla Carta. Né basta affidarsi ai suoi garanti – presidente della Repubblica e Corte costituzionale – che potrebbero forse ritardarlo o in parte condizionarlo se volessero, ma non avrebbero strumenti idonei e sufficienti a invertirlo. Servono una forte battaglia politica e un pensiero economico solido da contrapporre. Ancora non ci siamo. Un primo inizio è nel documento contro la regionalizzazione della scuola del direttivo Flc-Cgil del 3 maggio, soprattutto se indica la volontà di tutto il sindacato di scendere davvero in campo. Positiva anche l’intervista del segretario Sinopoli a questo giornale. Ma bisogna fare di più. Diversamente, le belle parole della Costituzione si perderanno nel vento della storia.
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