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Regionalismo, i timidi no dei 5 stelle
di Massimo Villone da la Repubblica Napoli del 12/5/2019
Il 9 maggio nella commissione parlamentare per il federalismo fiscale la senatrice Barbara Lezzi, ministro per la Coesione sociale e il Mezzogiorno, ha reso una audizione sul tema del regionalismo differenziato e delle procedure in atto sulle intese con Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Qualche luce, ma anche dubbi e perplessità di fondo. Le parole più chiare sulla scuola. La ministra ha parlato del rischio di “derive a carattere localistico”, ha avanzato critiche sul reclutamento, sulla mobilità, sul riconoscimento della parità e dell’assegnazione dei relativi contributi, sulla formazione professionale. Se la ministra esprimesse l’indirizzo di governo, della autonomia richiesta sulla scuola potrebbe rimanere poco. Ma che ne pensa Bussetti? Va rilevato un punto di metodo. Sul sito del ministero autonomie sono pubblicati testi di “parte generale concordata” che recano solo l’elencazione delle materie in cui la maggiore autonomia viene chiesta. Ma sulla scuola la ministra ha citato puntualmente articoli – 10 e 11 – che dobbiamo ritenere tratti dalle intese pubblicate sul sito Roars l’11 febbraio 2019. Sono testi mai riconosciuti o avallati dalla ministra Stefani. È su quelle bozze che si svolge il confronto all’interno del governo? Solo per la scuola o anche per le altre materie, dalla sanità alle infrastrutture, ai beni culturali, all’ambiente e quant’altro? L’oscurità e il consapevole occultamento continuano. Persino i parlamentari in audizione lamentano di non avere la documentazione sulla quale si discute. La ministra ha poi sottolineato la centralità dei lep (livelli essenziali delle prestazioni), come passaggio fondamentale perché “i diritti sociali non rimangano sulla carta ma siano effettivamente esigibili”. Inoltre, i lep “diventano la misura dell’eguaglianza” e sono la sola via per evitare l’aumento delle “situazioni di disuguaglianza di fatto già presenti fra le diverse aree del territorio italiano”. Assolutamente giusto. La ministra riprende quanto detto dal ministro Tria in audizione, circa la impossibilità di stabilire previamente rispetto all’intesa gli oneri per la finanza pubblica del regionalismo differenziato. Attesta che “ad oggi, con gli schemi di intesa che abbiamo visionato nei mesi scorsi, non siamo in grado di definire quanto costa l’autonomia”. Infatti, le bozze (presumiamo, sempre quelle tenute segrete e sottratte a qualsiasi pubblico dibattito) illustrano “solo un quadro generale di intenti”. Solo dopo l’approvazione con legge delle intese sarebbe possibile fare i conti, sulla base dei decreti attuativi del presidente del Consiglio dei ministri. E misurare – aggiungiamo – quanto il regionalismo differenziato costa, a chi. Buoni, dunque, i sentimenti della ministra. Ma la debolezza è nel come realizzarli. I lep non ci sono, non sono stati fatti perché non convenivano al paese forte, e non possiamo ragionevolmente aspettarci che si provveda in poche settimane. Comunque, la ministra che li definisce essenziali nulla dice su come e quando si potranno stabilire. Nulla dice su chi ne definirà il contenuto. Ad esempio, faranno parte dei lep gli asili nido, o tante realtà del Sud continueranno a non averne affatto o in misura insufficiente? In ogni caso, se il regionalismo differenziato non si ferma, all’approvazione con legge delle intese si arriverà prima di avere i lep. Dove finirà la “misura dell’eguaglianza” di cui parla la ministra? Sappiamo dalle parole della ministra che la legge di approvazione delle intese non potrà sciogliere alcun nodo. Rispondendo a domande, precisa che andrà in aula non un disegno di legge, ma una pre-intesa “per essere oggetto di mozioni, di risoluzioni, di suggerimenti da parte del parlamento”. Quindi, salvo radicali cambi di rotta, si prefigura una generica espressione di indirizzo da parte del parlamento, cui seguirà la stipula dell’intesa tra governo e regioni, e successivamente la presentazione di un disegno di legge inemendabile, inevitabilmente limitato ai principi generali per la impossibilità di definire previamente lep e risorse. Tutto verrebbe poi deciso nelle commissioni paritetiche ministero autonomie-regione, che la ministra implicitamente conferma quando richiama i dpcm di attuazione. Una sostanziale delega in bianco che azzera la funzione del parlamento, ed è costituzionalmente e politicamente inaccettabile. Non ci siamo. La ministra dice di voler garantire la coesione sociale e le ragioni del Mezzogiorno contro le pretese nordiste, Buone intenzioni, certo. Ma – si sa – proprio di quelle è lastricata la via dell’inferno.
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