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Flat tax e autonomia differenziata non aiutano il mezzogiorno
di Massimo Villone da la Repubblica Napoli del 13/4/2019
Il Def partorito dal governo giallo-verde è considerato dai più come un rinvio. I timori sono forti, pare anche sul Colle. Potrebbero essere decine i miliardi di spesa per cui trovare coperture, e ovviamente se ne parlerà dopo il voto europeo, quando avrà inizio la nuova partita tra gli alleati-competitors di governo. Tutto è in gioco, ma una linea è chiara: un progetto per il Sud ancora una volta non c’è. Ce lo dicono le poche certezze in campo, fra cui la flat tax. Ci sarebbe anzitutto la incostituzionalità ex se, per l’ovvio e insanabile contrasto con il principio di progressività posto dall’art. 53 della Costituzione, che non è superato dalla previsione di due aliquote piuttosto che una. Per la Costituzione è centrale il concetto che tutti siano tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva. Non è davvero un caso che l’art. 53 sia posto nel titolo IV della parte I, che si intitola “Rapporti politici”. Perché è essenzialmente un principio politico, prima ancora che di tecnica tributaria. Attiene alla coesione sociale e alla solidarietà, che sono fondamenti dell’essere comunità. Cosa ha a che fare tutto questo con il Mezzogiorno? La flat tax, comunque declinata, favorisce i redditi più alti. Rispetto a un sistema informato alla progressività, chi ha di più paga meno in tasse. Questo dato va letto nella distribuzione territoriale. La classifica dei redditi medi imponibili vede al primo posto in termini generali il Nord, e agli ultimi il Sud. E dunque il vantaggio di una flat tax va essenzialmente ai contribuenti del Nord. Al tempo stesso, la flat tax riduce le entrate tributarie. I numeri variano, ma si tratta di non pochi miliardi di euro. Per assicurare una invarianza di gettito bisognerebbe porre l’aliquota a un livello talmente alto da risultare politicamente ingestibile. Che poi contribuisca allo sviluppo in misura tale da recuperare i mancati introiti è mera congettura, meglio potremmo dire fantasia. Quel che è certo è la diminuzione delle risorse pubbliche disponibili, quanto meno nell’immediato. Nell’analisi di studiosi ed esperti l’unica vera politica per il Sud si trova in un programma di investimenti pubblici volti a sanare il deficit nelle infrastrutture e nei servizi: strade, ferrovie, porti, ospedali, scuole, università, comunicazioni. È il solo modo di ridurre il gap tra Nord e Sud, e soprattutto di avvicinare quella eguaglianza nei diritti che è obiettivo primario della stessa Costituzione. Tutto questo nel Def non c’è. Invece, c’è una scelta – la flat tax – che in prospettiva riduce le risorse necessarie laddove si volesse fare alcunché. Cogliamo qui la sinergia con l’altra misura centrale nell’azione del governo gialloverde, che è il regionalismo differenziato. Anche quello è un modo di concentrare risorse nella parte economicamente più forte del paese, costruendo una armatura giuridica a sostegno di tale obiettivo. Le due misure – flat tax e regionalismo differenziato – danno un chiaro segnale che una parte delle forze politiche che dirigono il paese – di maggioranza e di opposizione – ha abbandonato il disegno di un paese unito in cui il divario strutturale andava combattuto e sanato. Il disegno politico di fondo è invece quello che la parte più forte del paese deve staccarsi per avere migliori chances di competere sul piano globale. La parte debole deve essere servente rispetto a questo disegno, e sopravvivere come può con quel che resta. Bisognerà augurarsi di non nascere al Sud. Sarebbe ingiusto addebitare al governo gialloverde il copyright per questo cambio radicale di rotta. E da parecchio che se ne avvertono i sintomi, e il calo di investimenti pubblici nel Sud negli ultimi anni, segnalato da analisi e studi, ne è la prova. Ma per la prima volta il disegno politico emerge con chiarezza, con una strumentazione operativa. Può stupire che ciò accada quando uno dei partners del governo è stato portato a Palazzo Chigi soprattutto dal voto del Sud. Ma tant’è. E certo non basta a riequilibrare la bilancia che Di Maio si dica garante di una flat tax per i ceti medi, o di un regionalismo differenziato rispettoso dell’unità del paese. Né il conto torna con il reddito di cittadinanza. Una misura contro la povertà non è strumento per il recupero del gap strutturale Nord-Sud. Ed è invece alto il timore di uno scambio politico tra reddito e regionalismo differenziato, secondo il modello in uso di una misura a me, e una a te. Il problema è che qui la somma non fa il totale. Quando si governa il conto non torna mai.
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