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Il silenzio della sinistra sull'accordo per il Veneto
di Massimo Villone da la Repubblica Napoli del 26/10/2018
Cadeva il 22 ottobre l'anniversario del referendum veneto sulla maggiore autonomia ex art.116 della Costituzione. Il governatore Zaia lo celebra come una battaglia vinta. Anzi, la "madre di tutte le battaglie". L'accordo tra il Veneto e il governo è pronto ed è sul tavolo del presidente del Consiglio. Salvini scalpita perché si approvi, e si presenti come ddl dell'esecutivo in parlamento. Dal suo punto di vista, Zaia ha perfettamente ragione. E noi? Una censura, anzitutto: non si vede un testo, per una discussione pubblica che vada al di là delle segrete stanze. Già questo insospettisce, ed è inaccettabile. Una questione che tocca indistintamente tutti gli italiani viene definita a trattativa praticamente privata tra una regione leghista e una ministra per le autonomie parimenti leghista. Ne veniamo a sapere dalle trionfanti conferenze stampa e interviste dei protagonisti, leghisti. E gli altri? Non è chiaro l'impatto sulla distribuzione delle risorse. Circolano frammenti di notizie per cui alla accresciuta autonomia si accompagnano maggiori risorse, finanziate con una partecipazione ai massimi tributi nazionali: Iva e Irpef. Il punto va capito fino in fondo. Se la compartecipazione è riferita ai tributi raccolti sul territorio, una medesima percentuale darà esiti molto diversi quanto a risorse rese disponibili, in ragione della maggiore o minore ricchezza dei territori. Le regioni più ricche avranno più risorse, le altre meno. Se a questo si legano le più ampie funzioni e i servizi erogati ai cittadini, è matematicamente certo che quelli delle regioni più ricche avranno servizi migliori, in quantità e qualità. Più trasporti, più sanità, più istruzione, più assistenza agli anziani e così via. Si sente dire di un periodo transitorio in cui sarebbe mantenuto il riferimento alla spesa storica, ai fini di un minore impatto sull'equilibrio fra territori. Ma dopo alcuni anni - pare cinque - si arriverebbe alla situazione prima descritta. A questo si aggiunga che sottraendo quote significative di proventi tributari dalla fiscalità generale a favore di una o più regioni, non c'è modo di argomentare che non vi sarebbe riduzione di risorse per le altre, o per una perequazione volta a sanare gli squilibri territoriali. Il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci non vale per la finanza pubblica. E quindi stupisce il silenzio della politica meridionale di fronte a una prospettiva che impone un approfondito chiarimento prima di procedere. La ministra Stefani ci informa - per intervista -di aver parlato con molti amministratori meridionali convinti sostenitori della maggiore autonomia. È il caso di dire: ministra, fuori i nomi. Capiamo bene che qualcuno possa sentire nelle parole maggiore autonomia un profumo di maggiore potere personale per chi amministra. Ma è una concezione miserabile, e se si traducesse in un esito comprovabilmente dannoso per le comunità amministrate potrebbe, ed anzi dovrebbe, essere in futuro sanzionata anche nelle urne. Si aggiunga che dalla maggiore autonomia, una volta fatta, non si torna indietro. L'art. 116 Cost. disegna infatti un percorso complesso, che parte dalla proposta della regione interessata, e si conclude con una legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti, d'intesa con la stessa regione. Quindi non si comincia e non si finisce se non con l'assenso della regione. Poiché per principio generale le eventuali modifiche alla maggiore autonomia già data andrebbero fatte con lo stesso procedimento, è chiaro che la riduzione dei vantaggi conseguiti dovrebbe essere proposta e conclusivamente assentita dalla regione che li ha avuti. Se qualcuno lo ritiene possibile, si faccia avanti. Diversamente, sarebbe prima necessario modificare l'art. 116, eliminando il necessario idem sentire con la regione, e poi procedere. Potrebbe mai accadere con i leghisti a Palazzo Chigi? Non basta il richiamo al contratto di governo. Non si può votare nulla a scatola chiusa. Bisogna pretendere chiarezza sui conti, e sul punto che la rimodulazione delle potestà legislative non impedisca politiche nazionali forti, volte all'eguaglianza dei diritti, agli investimenti, al riequilibrio territoriale. Dov'è M5S? Dov'è il Pd? Dov'è la sinistra? È davvero la madre di tutte le battaglie, molto più che reddito o pensione di cittadinanza. Come in tutte le battaglie, c'è chi vince e chi perde. E qui perdiamo noi, gente del Sud.
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