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Quei moniti di Mattarella sui conti pubblici
di Massimo Villone dal Manifesto del 19/10/2018
Nei sondaggi ultimi solo una minoranza degli italiani, storicamente europeisti, deciderebbe oggi di rimanere in Europa. Una caduta verticale nei consensi e nel sentire collettivo. Ma dovuta anzitutto allo smarrimento dei valori di origine. E dovuta al prevalere degli egoismi territoriali e degli interessi dei singoli stati. Una Europa politica, un popolo europeo, diritti, giustizia sociale, coesione e solidarietà erano gli elementi costitutivi del progetto, oscurati in una sterile gestione da contabile in mezze maniche. La mancanza di solidarietà sui migranti, unita a una ossessiva guardiania sui conti pubblici, ha frantumato l’europeismo degli italiani. Contribuendo decisivamente a lanciare in orbita Salvini. Con le ultime esternazioni il presidente Mattarella scende in un contesto ribollente. Chiede una «visione di lungo termine nell’interesse collettivo», sollecita ad abbandonare «vuoti rigurgiti nazionalistici», e soprattutto dice dell’Ue che «pur con alcune e contraddizioni – ha assicurato un patrimonio inestimabile di pace e di benessere». Parole che vanno considerate insieme a quelle di qualche giorno fa, sulla necessaria solidità dei conti pubblici, prescritta anche in Costituzione (riferimento all’art. 81 riformato), e agli incontri con Draghi prima, e ora con Moscovici. Parole e comportamenti indicano la preoccupazione del capo dello stato per la manovra, e soprattutto per il contrasto con l’Ue. Il punto delicato è nel passaggio dalle esternazioni all’esercizio di poteri formali, come promulgare una legge o firmare un decreto. Poteri il cui esercizio deve essere legato essenzialmente a una verifica della conformità a Costituzione. Qui il riscontro deve evidenziare, secondo la prassi, una incostituzionalità «manifesta». La domanda è: ma quando si arriverà alla legge di bilancio, potrebbe Mattarella ad esempio rifiutare la promulgazione perché non è rispettato l’equilibrio prescritto anche in Costituzione? Pur con la necessaria cautela, la risposta sembra dover essere negativa. Un equilibrio di bilancio è concetto assai elastico e dipendente da variabili molteplici, politico nella essenza. Un terreno minato, in cui nulla è «manifesto». Ancor più se il giudizio negativo non cade parallelamente sugli elementi che concorrono a determinare quell’equilibrio. Ad esempio, è costituzionale un condono – o pace fiscale che dir si voglia? Non sembra dubbio che tra i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale (art. 2 Cost.) il primo sia quello di pagare le tasse, e magari di dare un minimo sostegno vitale a chi si sveglia senza sapere se avrà qualcosa da mangiare. E se le pensioni dovessero subire un taglio permanente piuttosto che un contributo di solidarietà temporaneo, come indicato dalla Corte costituzionale? E se la flat tax dovesse entrare non come vantaggio per una platea modesta, ma come criterio ispiratore dell’intero sistema tributario, in violazione dell’art. 53? Andando oltre l’orizzonte della manovra, che dire dei tanti dubbi – e forse qualche certezza – di incostituzionalità sul decreto Salvini? E del rischio che la maggiore autonomia richiesta da alcune regioni forti allarghi il divario territoriale a danno dell’unità della Repubblica? Non sono pochi nel tempo gli esempi di una caduta di sensibilità e di attenzione per i valori costituzionali. Eliminare gli ostacoli di ordine economico e sociale (art. 3, co. 2 Cost.) è l’esatta descrizione dell’ascensore sociale fermato dalle scelte di governi di ogni colore. La dignità umana e i diritti del lavoro sono stati compressi e mortificati da leggi come il jobs act e dalla truffa governativa sui voucher. Non si può, nella complessa architettura costituzionale, privilegiare l’equilibrio di bilancio come perno unico o anche solo essenziale per il ruolo di garante del capo dello stato. È cosa buona e giusta se il capo dello stato vuole esternare a difesa della Costituzione, possibilmente con un’attenzione a largo spettro per le insidie di oggi e di domani. Non sappiamo, poi, se Mattarella fosse al corrente dell’incontro tra Moscovici e Zingaretti. Quanto a noi, un dubbio ci tormenta. Per il futuro del paese è più preoccupante che Moscovici sia d’accordo con Zingaretti, o che Zingaretti sia d’accordo con Moscovici?
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