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“Serve una Consulta più forte contro le pressioni europee”
di Massimo Villone da Il Fatto Quotidiano del 18/10/2018
“La parola chiave”, spiega il professor Massimo Villone - emerito di Diritto costituzionale a Napoli, interpellato sul braccio di ferro Italia-Europa - "è effettività". "Se guardiamo l'architettura istituzionale, non c'è dubbio che il Parlamento sovrano sia la struttura portante del nostro sistema. Il punto è però proprio l'effettività, cioè la capacità di incidere. In Europa non c'è una comunità politica unitaria, e quindi il conflitto di interessi tra gli Stati è sempre dietro l'angolo. Anche la politica dell'austerità senza se e senza ma rientra in questo quadro. Se in un Paese lo spread sale, altri Paesi ne guadagnano. È in questo contesto che le scelte di un Parlamento formalmente sovrano possono trovare limiti di fatto". Secondo alcuni lo spazio di manovra degli esecutivi e dei Parlamenti dei singoli Stati ê sempre più ristretto. Come fossero sotto tutela. Ma la riduzione è anzitutto una scelta della politica italiana! Le difficoltà e i contrasti sulla manovra trovano radice non tanto e non solo in regole e scelte Ue, ma nel Fiscal compact, un trattato che abbiamo ratificato nel 2012. Dunque, limiti auto-inflitti. L'indirizzo politico esprime l'orientamento delle nostre istituzioni, e raggiunti quei limiti, pur auto-inflitti, bisogna capire dove stanno e come si muovono le controforze portatrici di interessi diversi. L'Europa adotta una linea politica di rigida austerità che fa gioco di alcuni Stati membri e fa sponda coi mercati. Così deficit e spread diventano l'unico decisivo e puramente aritmetico metro di misura. Con le elezioni europee alle porte credo che sulla manovra italiana alla fine un compromesso sia probabile. Ma potrebbe anche non essere risolutivo. Quindi il problema non è la pressione dell'Europa su ogni materia? Un astratto rigore ragionieristico da parte Ue può rendere difficile la soddisfazione di bisogni e diritti fondamentali, individuali e collettivi. Potremmo pure trovare nell'ordinamento interno un argine nei "contro limiti", che si oppongono all'ingresso di norme Ue se lesive dei principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale e dei diritti inalienabili della persona. Ma si tratta di formule generalissime e la linea seguita dalla Corte costituzionale si mostra nel complesso debole. Più solida appare ad esempio quella della Corte tedesca. Con una pronuncia del 2009 individua una "identità" costituzionale che si estende a comprendere lo stato di diritto, lo stato sociale, la forma parlamentare di governo e i diritti fondamentali, e che richiede per la sua tutela un incisivo ruolo del Parlamento. Aiuterebbe eliminare l'art. 81, che impone il pareggio di bilancio, dalla nostra Costituzione? Anche la riforma dell'articolo 81 è una limitazione auto-inflitta dalla politica italiana. Nessuno ci obbligava a modificare la Costituzione. Oltre che col Fiscal compact, con il nuovo articolo 81 una politica debole e subalterna ha pensato di mettere una camicia di forza, in omaggio al totem di una gestione presuntivamente virtuosa della finanza pubblica. Di sicuro, una riforma sbagliata e potenzialmente pericolosa. Una costituzionalizzazione del pareggio di bilancio fu definita in principio un grave errore anche da alcuni premi Nobel dell'economia, come Il Fatto all'epoca riferì ampiamente. Ma non credo che oggi cancellare la riforma risolverebbe i problemi. La crisi dello spread del 2011, che portò al governo Monti, ebbe luogo prima della riforma, il cui peso maggiore non è nella prescrizione del pareggio (più precisamente: *** equilibrio) in sé, che si può raggiungere anche con il deficit. Il problema è nei limiti posti all'indebitamento, consentito solo in via eccezionale. Ma sono limiti superabili, e sempre superati. L'articolo 81 di per sé non impedisce in termini assoluti a una maggioranza, se vuole, di adottare politiche espansive. E cosa sarebbe risolutivo? Avere istituzioni europee veramente rappresentative. E un sistema che in principio riconosce diritti, coesione sociale, solidarietà. Ma presuppone un'Europa politica che purtroppo non esiste, lasciando campo aperto a logiche liberistiche di mercato che la fanno da padrone. Alla fine, prevalgono gli egoismi territoriali. La Grecia cosa ci insegna? Penso che in ambito europeo abbiamo un peso, e un ruolo, diverso da quello della Grecia. Non a caso Juncker ha dichiarato che senza Italia l'Europa si sfascia. II vero vulnus qual è? Le politiche che nel tempo hanno accresciuto diseguaglianze e povertà sono venute da scelte di maggioranza e di governo che avrebbero potuto essere diverse. Nostre scelte, nostre responsabilità. È l'esito di un indebolimento della cultura costituzionale originaria, centrata sui diritti e bisogni della persona, sull'eguaglianza, sulla giustizia sociale. Aver perso l'aggancio con quella cultura è anche il principale motivo del tracollo della sinistra. Ora dobbiamo rimettere al centro dell'agenda politica la Costituzione. Per fare questo abbiamo bisogno di una sinistra degna di questo nome, non ridotta a numeri da prefisso telefonico, e di un Parlamento ampiamente rappresentativo, non distorto da artifici maggioritari in chiave di esasperata governabilità. Peseremmo di più anche in Europa se avessimo come obiettivo l'attuazione della Costituzione, recuperando l'idea che le scelte politiche si fanno per le persone, e che imprese e mercati sono mezzi, e non fini.
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