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Se la Lega punta sulla «secessione dei ricchi»
di Massimo Villone dal Manifesto del 14/9/2018
In apparenza, aumenta la fibrillazione tra i dioscuri di Palazzo Chigi. Ciascuno vuole piantare una bandierina nella legge di stabilità, e non ci si accontenta nemmeno più di segnali simbolici e di mero avvio. Su Tria si addensa una tempesta, e Di Maio – cui si aggiunge ora la ministra Lezzi – si spinge ad affermare che senza reddito di cittadinanza il governo potrebbe avere seri problemi. Basterebbe a Tria far finta di nulla e rimanere incollato alla poltrona. I dioscuri certamente sanno che nel nostro sistema liberarsi di un ministro scomodo che non si dimette di sua iniziativa è praticamente impossibile. Poiché nessuno ha un potere di revoca, si può fare solo con una sfiducia individuale, o con una crisi di governo che porti a un esecutivo diversamente composto. Prospettive difficilmente praticabili con Tria, che fa argine a una crisi come quella del 2011. I dioscuri devono fare i conti con Tria. E allora perché la battaglia di esternazioni? Con la legge di stabilità parte davvero la campagna per le europee 2019, che vedrà anche elezioni regionali in Trentino, Basilicata e Abruzzo. Sul tavolo è la definizione dei rapporti di forza nella coalizione. Una verifica resa necessaria dai sondaggi per cui la Lega cresce e M5S frena, con un equilibrio non più rispondente ai numeri iniziali. Questa verifica peserà sul prosieguo della legislatura, con alla base una domanda: quanto varrebbe ciascuno in una competizione nelle urne? Nessuno dei due contendenti-partners può oggi permettersi di perdere la faccia. I toni salgono, e le promesse elettorali simul stabunt simul cadent, persino nella misura. Se dovessero essere 10 i miliardi per il reddito di cittadinanza, non diversa cifra verrebbe richiesta per pensioni e flat tax. Sarà una battaglia sui centesimi, e l’unica vera certezza è che saranno pochi per tutti. La Lega ha però un asso nella manica: è la più ampia autonomia e le maggiori risorse richieste ai sensi dell’art. 116 Cost. da Lombardia, Veneto, ed Emilia-Romagna. Il contratto di governo specifica l’obiettivo di portare a «rapida conclusione le trattative già aperte tra Governo e Regioni» per l’attribuzione di maggiori funzioni, con le «risorse necessarie per un autonomo esercizio delle stesse». La stampa – nazionale e locale – ci informa che nel suo recente giro in Veneto Salvini ha notificato che il lavoro procede speditamente, e che non vede l’ora di «firmare» le richieste delle regioni (Repubblica.it., 30 agosto). Dove, come e con chi si procede? In parlamento non c’è stata alcuna discussione, e il governo nella sua collegialità non risulta sia stato mai impegnato sul punto. Di più, Salvini intende che il passaggio nel consiglio dei ministri sia a mera ratifica delle richieste regionali, che vuole solo «firmare» per poi tradurle in ddl governativo ai sensi dell’art. 116. E le altre regioni? Il paese? La vicenda è nata male, con i referendum leghisti in Lombardia e Veneto, ed è proseguita peggio, con un accordo preliminare con il governo Gentiloni in articulo mortis a poche settimane dal voto del 4 marzo. Altre regioni hanno poi avanzato richiesta, ma intanto sono state e sono fuori da ogni trattativa. Anche se al momento nessuno mette in chiaro i conti, qualcuno pagherà. E senza un quadro complessivo e organico si profila un travaso di risorse a favore delle regioni più forti. Una «secessione dei ricchi», come la definisce una petizione lanciata da Viesti su Change.org che ha già superato 10000 firme. È uno scenario che alla lunga avrebbe sui destini del Mezzogiorno un’incidenza assai più significativa di qualsiasi reddito di cittadinanza. Potrebbe rendere impossibile qualunque politica nazionale di eguaglianza nei diritti e di superamento del divario territoriale. E per il meccanismo stesso dell’art. 116 Cost., che richiede la proposta e l’intesa delle regioni, sarebbe difficile tornare indietro. Chi si trovasse ad aver acquisito un vantaggio, avrebbe gli strumenti per mantenerlo. Cosa ne pensa M5S, che trova nel Sud la sua cassaforte elettorale? Cosa ne pensa la ministra Lezzi? Quanto ai dioscuri, l’antica mitologia ci dice che uno era bravo con i cavalli, l’altro con i pugni. Se volgesse al peggio, uno dovrebbe darsi all’ippica, l’altro finirebbe al tappeto. Scelgano gli elettori.
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