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Le liste civiche, falsa ancora di salvezza per il Pd
di Massimo Villone dal Manifesto del 30/6/2018
La botta del 25 giugno è stata tanto forte da frantumare il sarcofago in cui Renzi aveva chiuso il Pd dopo il 4 marzo. È dal referendum del 4 dicembre 2016 che l’ex segretario ed ex premier ha praticamente sequestrato il partito, impedendo l’analisi sulla crescente perdita di consenso. Una discussione avrebbe forse salvato dal baratro il Pd, ma al prezzo inevitabile di una messa in accusa di Renzi e del renzismo. E dunque il silenzio era d’obbligo, e veniva imposto attraverso il controllo di Renzi sul partito e sui gruppi parlamentari. Da tempo il Pd sopravviveva come rete di potere nel governo regionale e locale. Organi dirigenti come ectoplasmi, organizzazione evanescente, militanza in larga parte dispersa. L’interazione tra poteri di governo centrale e potere locale era il cemento che teneva insieme il tutto. Che ora viene meno. Il Pd perde Palazzo Chigi e cede nel potere locale. Nulla rimane di quel che lo rendeva una struttura portante nel sistema politico del paese. Non meraviglia che l’argine posto da Renzi stia cedendo. Cambiare è la parola d’ordine. Come? Si parla di una costituente, e la parola è magica. Ma imporrebbe di ricostruire ex novo identità, progetto politico, organizzazione, militanza. Un partito di sindaci e amministratori locali? In fondo, era anche l’idea di Renzi. Oggi Zingaretti convoca un’assemblea di cui dice – orgogliosamente – una metà è di sindaci non Pd. Dovrebbe piuttosto preoccuparsi, visto che il voto locale è invaso da cortei di liste quasi-civiche e di incerta natura, volte a grattare fino all’ultimo voto familiare, amicale, se non clientelare. Che sia questa la via per il nuovo Pd è davvero dubbio. Che dire poi delle proposte di cambiamento né di destra né di sinistra? Calenda e Prodi ne offrono un esempio. A parte il sospetto che l’incerta identità sia funzionale alla leadership di chi non avrebbe diversamente truppe al seguito, quel che nasce in tal modo scivola fatalmente a destra. Questo almeno insegna l’esperienza, italiana e straniera. Così fu anche per l’Ulivo, che qualcuno si ostina a richiamare. Inoltre, c’è già M5S che si dichiara né di destra né di sinistra. Vediamo chi recita meglio la parte? Qui la domanda è: c’è spazio per una sinistra nel nostro paese? Sì, molto. L’Istat ci dice che questo è un paese P&P, di poveri e di precari. Milioni di persone e di famiglie per cui la minima dignità di vita è un miraggio. Con una clamorosa mancata attuazione della Costituzione nella parte in cui costruisce i diritti fondamentali di ogni donna, uomo, bambino, anziano. Se non è aperto alla sinistra un simile paese, quale mai potrebbe esserlo? In politica c’è sempre una risposta di destra e una di sinistra. Su povertà e precarietà la benevolenza caritatevole e assistenziale è di destra, la lotta per un lavoro stabile e dignitosamente retribuito è di sinistra. Chi vuole il reddito di cittadinanza ma segue le imprese sul terreno del lavoro precario è di destra, chi accetta il reddito di cittadinanza come risposta emergenziale ma si batte per la pienezza dei diritti del lavoro senza se e senza ma è di sinistra. E l’eguaglianza non è una medaglietta buona solo per gli intellettuali radical chic. Il Pd può certo cambiare nome e logo. Personalmente, ho sempre pensato che sia nato morto. In ogni caso, non ritengo utile al paese che al 25 giugno segua una battaglia navale di ceto politico senza un completo reset del Pd come soggetto politico, volto a ritrovare ragion d’essere, contenuti e modi di una sinistra moderna, attenta alla Costituzione. Diversamente, sarebbe meglio consegnare il caro estinto alla storia, e lasciare libero lo spazio per qualcosa di nuovo. Nel frattempo, c’è chi pensa oltre. L’ultima trovata di Grillo è il sorteggio, per portare in parlamento persone comuni, un “microcosmo della società”. Sostituiamo il gratta e vinci al diritto di voto. Se è una battuta del Grillo comico, non fa ridere. Il potere, quello vero, da qualche parte tende a nascondersi, certo non in un’assemblea di sorteggiati. Ma una considerazione ci consola. A fronte di tali proposte, persino Di Maio diventa uno statista.
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