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Decadenza da De Mita a De Luca
di Massimo Villone da la Repubblica Napoli del 27/06/2018
La caduta delle regioni rosse è un tema pervasivo nei commenti sul ballottaggio del 25 giugno. Certamente, l'esito ha confermato l'onda lunga che dal 4 marzo ha investito la politica italiana. In Campania è invece eclatante il risultato di Avellino. Terra prima saldamente Dc, poi del centrosinistra e del Pd, ha eletto un sindaco M5S. Nel primo turno arrancava con oltre 20 punti di distacco dal candidato del centrosinistra. Ha trionfato nel secondo raggiungendo quasi il 60%. Cosa è accaduto? Il ballottaggio ci ha abituato a una diversa storia dei due turni di voto. Nel secondo non sono in campo candidati al consiglio comunale. Nel primo, invece, grazie anche alle liste civiche o quasi che da tempo ormai si accompagnano alla crescente debolezza dei partiti, decine o centinaia di candidati sono alla frenetica ricerca dell'ultimo voto. Sempre meno si chiama alle urne con un messaggio politico, manifesti, comizi. Sempre più si cerca l'appoggio di reti di consenso di amici, sodali, familiari, conoscenti, o magari in senso stretto clientelare e di scambio. Tutto questo nel secondo turno viene meno. Così, crolla l'affluenza alle urne, e sono possibili i ribaltoni. E può anche uscire dal voto - come ad Avellino - un consiglio comunale di segno politico opposto rispetto al sindaco. Accade sia per la minore partecipazione, sia perché tra i due candidati ammessi al ballottaggio quelli che ne sono stati esclusi fanno confluire i propri voti sul secondo arrivato nel primo turno. Ma il voto del 25 giugno non ci dice solo che la legge elettorale del sindaci - pensata in un segno esasperato di massima governabilità - ha probabilmente fatto il suo tempo. Il crollo del Pd è un dato indiscutibile, che deve preoccupare anche chi è lontano da quel partito. Vale anche per il Mezzogiorno, terra per cui scelte politiche radicalmente di destra - flat tax e dintorni - possono essere esiziali. Ovviamente l' errore ultimo del Pd è stato nel non aver mai fatto dopo il 4 marzo una analisi seria delle ragioni della sconfitta. Una omissione solo apparentemente incomprensibile. Non era possibile fare alcuna analisi senza mettere in stato d'accusa l'ex-segretario ed ex-premier Renzi. Salvare Renzi o il Pd? Ha vinto Renzi, che aveva il controllo del partito e anche del gruppo parlamentare uscito dal 4 marzo. Per analoghi motivi non si poteva che chiudere la porta a ogni tentativo di far scendere il partito in campo nella soluzione della crisi di governo. Qualunque trattativa avrebbe imposto di ammettere errori commessi e si sarebbe tradotta in una messa in stato d'accusa di Renzi. Va anche detto, però, che il renzismo è solo l'ultima fase di una crisi di origini lontane. Da tempo il Pd era diventato un partito di amministratori, con organizzazione evanescente , ectoplasmi di gruppi dirigenti, militanza in larga misura dispersa. Ormai la vera forza del Pd era nella rete assicurata dalla presenza nelle amministrazioni, e dall'assemblaggio di capi e capetti detentori degli strumenti del potere locale. Il deluchismo in Campania è un esempio tipico della decadenza del Pd. Dal 4 marzo a oggi, si è dimostrata l'usura inarrestabile di questa rete. Questo ci dice che un congresso volto solo alla resa dei conti interna servirebbe a poco. Il ballottaggio prova che per il Pd un reset è indispensabile. È questo l'elemento che accomuna Avellino e la caduta delle roccaforti un tempo rosse. Si sente parlare di una fase costituente, e bisogna intendersi. Una fase costituente è innovazione radicale, nel progetto politico, nei gruppi dirigenti, nella militanza. Non c'è nulla dimeno costituente della strategia di De Luca, con i suoi diecimila corsi di formazione. Questo è proprio il vecchio che ormai non basta più. Ma chi avrà la forza di scendere in campo con rotture senza appello, facce nuove e non compromesse, idee e proposte innovative? Dove, come, con chi? Al momento, nulla è all'orizzonte. Mentre anche quel che accade a sinistra del Pd potrà avere un impatto significativo. Quanto ad Avellino, è possibile, o probabile, che il neoeletto sindaco abbia vita breve. Con un consiglio avverso, la permanenza in carica del sindaco si traduce in un calcolo di convenienza di chi ha i numeri maggioritari, e può mandarlo a casa in ogni momento, al prezzo di uno scioglimento anticipato. Ma il segnale è stato forte. A quanto si legge, Di Maio ha detto in campagna elettorale che ad Avellino iniziava la terza Repubblica. Meglio non dare numeri. In democrazia, solo il popolo sovrano può darli, e la somma è per definizione giusta.
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