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“Veti? Il Quirinale non può imporre indirizzi politici”
di Massimo Villone da Il Fatto Quotidiano del 24/5/2018
La necessità di formare un governo politico è spesso filtrata dal più autorevole Colle romano. Richiesta sacrosanta di cui però, forse, è utile chiarire il perimetro, rispondendo a una domanda che solo apparentemente sembra ovvia: “La politica di chi?”. Lo abbiamo chiesto a Massimo Villone – professore emerito di Diritto costituzionale a Napoli, presidente del Coordinamento democrazia costituzionale, master alla Harvard Law School (curriculum verificato) nonché ex senatore Pds-Ds per 4 legislature – che subito premette: “Il governo giallo-verde a me non piace affatto. Sono un uomo di sinistra e questo è un governo di destra”. Professore, quali sono i margini di manovra del Presidente Mattarella? Limitati. L’architettura costituzionale si fonda sull’art. 92 (potere di nomina) e sull’art. 94 (voto di fiducia). L’equilibrio è dato dal sistema politico: se i partiti si accordano su una maggioranza che può garantire la fiducia, lo spazio del presidente della Repubblica si riduce. Non può rifiutare la nomina di un primo ministro perché non gli piace, né imporre un suo indirizzo politico. E dunque bene ha fatto a conferire a Conte l’incarico. E i suoi poteri sulla scelta dei ministri? Si dice non gradisca Paolo Savona, naturalmente non per questioni di curriculum, ma di sostanza politica. Però una figura alla Cottarelli, forse più apprezzata al Quirinale, sarebbe espressione di un’altra maggioranza politica. Sarebbe espressione di un indirizzo politico almeno parzialmente diverso, in specie sull’Europa. Se fossi Mattarella, non cercherei di imporre una mia scelta. Siamo di fronte a una novità anche radicale, che però arriva dal popolo sovrano con la chiara bocciatura delle politiche precedenti. Mi sento di sconsigliare affettuosamente al Presidente di fare argine per recuperare quanto respinto dai cittadini. E non è certo casuale che il presidente incaricato abbia nel suo discorso citato insieme sia la collocazione europea e internazionale dell’Italia, sia la domanda di cambiamento e le intese tra le forze politiche che lo sostengono. E si è auto-definito “avvocato del popolo”. Il professor Ugo De Siervo sulla Stampa ha sostenuto la primazia del diritto comunitario su quello italiano. È d’accordo? Per l’art. 117 della Carta la potestà legislativa è esercitata da Stato e Regioni nel rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Ma qui si vuole rispondere a un problema politico sostanziale con un argomento giuridico-formale. Emerge dal voto e dall’accordo di governo una posizione per cui le politiche comunitarie non sono conformi ai bisogni e agli interessi degli italiani. Non si può certo pensare che siano compressi per una primazia formale della regola giuridica Ue. Qui il problema da giuridico diventa politico. L’articolo 81 è da tutti citato in relazione all’obbligo di pareggio di bilancio. Ma esistono anche i diritti garantiti dalla prima parte della Costituzione (lavoro, salute, diritto a una retribuzione dignitosa)… Certo. La riforma dell’art. 81 è stata un gravissimo errore. Si è voluto introdurre il concetto di equilibrio tra entrate e uscite, statuendo specificamente che solo in caso di eventi eccezionali è consentito l’indebitamento. L’effetto collaterale è, ad esempio, che se lo Stato volesse lanciare un programma di investimenti pubblici per ridurre il divario Nord-Sud e le intollerabili diseguaglianze, non potrebbe scaricarne in parte il peso sulle generazioni future attraverso il debito, pur essendo i benefici ovviamente anche a vantaggio di quelle stesse generazioni. Non è un principio puramente contabile, ma un vincolo alle politiche. Va peraltro detto che il futuro governo dovrà davvero prestare attenzione ai problemi di finanza pubblica. È stato molto criticato il passaggio del contratto di governo in cui si parla del ritorno allo spirito originario di Maastricht: i trattati sono modificabili? In principio, si recede da un trattato secondo le modalità a tal fine previste. Diversamente, i trattati non avrebbero cogenza giuridica. Quando un trattato va contro gli interessi di uno Stato contraente si apre di solito un confronto politico, e qui entra in gioco il peso che l’Italia potrebbe anche tentare di avere. Certo è più difficile se un pezzo di classe dirigente in partenza sostiene le ragioni degli altri. Come spiega il clima di generale ostilità attorno al nascituro governo? C’è una rivolta di una parte dell’establishment: lor signori difendono i loro interessi, come hanno sempre fatto.
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