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Se la fiducia diventa moneta di scambio
di Massimo Villone dal Manifesto del 22/10/2017
Cosa ha a che fare la questione di fiducia con la nomina del governatore di Bankitalia? Per le leggi e i manuali, nulla. La prima è posta su un atto in parlamento, la seconda in parlamento non mette piede, rimanendo nel circuito Palazzo Chigi-Quirinale. Eppure, circola la notizia di uno scambio tra la fiducia sul Rosatellum bis in Senato e la conferma/sostituzione del governatore Ignazio Visco. Scambio tra chi, e per cosa? In realtà, tutto inizia e finisce con Renzi. Ha preteso la fiducia sul Rosatellum alla Camera come già con l’Italicum, frantumando la prassi e costringendo Paolo Gentiloni a smentire la sua stessa certificazione di disinteresse. Bisognava soprattutto evitare il voto segreto. La pretende di nuovo al Senato, dove per il diverso regolamento il voto segreto non è un problema. Si vedrà. È comunque chiaro che Renzi vuole anzitutto fare presto, in modo che nel primo giorno utile si possa andare allo scioglimento delle Camere e al voto. Gentiloni non deve sedere a Palazzo Chigi un minuto più del necessario. Magari potrebbe venirgli qualche cattiva idea sul mantenere la carica dopo le urne. Ha chiaramente aperto una personale campagna elettorale, con il giro d’Italia ferroviario. La scelta del treno ci dice che è lo show esclusivo di Renzi, volto a risollevare sondaggi che lo vedono arrancare nel favore popolare. Può mai un treno essere necessario a un segretario di partito per una campagna di ascolto? Ha a disposizione le strutture territoriali e i gruppi dirigenti del partito, per conoscere, capire, costruire un progetto politico e un programma per il futuro governo. Ha a disposizione le strutture tecniche di un esecutivo di cui è il principale sostenitore. Controlla un gran numero di parlamentari, cui può chiedere la presentazione di mozioni, interrogazioni, proposte di legge e quant’altro. Cosa può vedere, capire o fare di più dal predellino di una carrozza ferroviaria? Ci ha detto anche che la linea comunicativa della sua campagna sarà il populismo di governo. Aveva in realtà brevemente provato con il Pd forza tranquilla contro i populismi di qualsiasi natura. Ma poi deve aver capito che quanto a tranquillità nessuno batte Gentiloni. Ed ecco arrivare la mozione anti-Visco, motivata con lo schierarsi per i risparmiatori contro i poteri forti. Certo, il venditore è abile. Peccato non sia affatto credibile che chi è stato mille giorni a Palazzo Chigi nulla sapesse del cattivo stato di salute delle banche, e di eventuali timidezze o ritardi nella vigilanza da parte della Banca d’Italia. Peccato che la consapevolezza del problema avrebbe potuto e dovuto suggerire al governo un intervento discreto e riservato presso l’autorità di vigilanza, o magari la presentazione di nuove e più efficaci norme per prevenire rischi e disastri, per le quali non sarebbe mancata la maggioranza. Peccato che a quanto risulta la Banca d’Italia si è comunque mossa prima del governo, che ha poi taciuto per mesi. Sul perché dell’inerzia, a tutela di chi, ognuno giudichi da sé. Infine, ci ha comunicato che intende mantenere uno stretto controllo sulla scelta dei prossimi parlamentari Pd. Niente primarie – proclama – candideremo chi può vincere. Con il Rosatellum bis, tra candidature di collegio e liste bloccate questo significa che nessuno arriverà al soglio senza l’appoggio, o quanto meno il lasciapassare, del segretario. Tutti sono avvertiti. Così, la fiducia sul Rosatellum può diventare moneta di scambio. Io (governo) do una fiducia a te, tu (Renzi) dai una nomina di governatore a me. Uno scambio miserabile, in cui scompare del tutto l’esigenza di una legge elettorale che dia al paese un parlamento forte, legittimato, ampiamente rappresentativo. Andando invece a una cattiva legge che tra l’altro, nell’analisi praticamente unanime, favorisce il centrodestra. Come scompare il valore di un’autonomia della Banca centrale, fulcro di un delicato e difficile rapporto tra le istituzioni. Mentre si fa strame di prassi e convenzioni che una saggezza politica e istituzionale ormai perduta avevano formato nel corso di decenni. Capiamo chi – volgendo al peggio la battaglia – avrebbe voluto scambiare il proprio regno per un cavallo. Capiamo meno chi scende in campo sfasciando il regno, pur di montare sul cavallo.
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