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L’eclisse politica del Mezzogiorno
di Massimo Villone da Repubblica Napoli del 13/10/2017
Il Comune di Napoli ha esposto la bandiera catalana. Dopo le città ribelli, potevamo aspettarcelo. Ma la vicenda spagnola – che non sappiamo come si concluderà - dovrebbe consigliare riflessioni attente, e lontane dagli slogan. Non è dubbio che il primo ministro Rajoy non abbia saputo gestire politicamente il problema catalano. Ma altrettanto è certo che tra gli indipendentisti ambiguità ed errori abbondano. Oltre alla incostituzionalità di una dichiarazione unilaterale di secessione, fa riflettere che la domanda di indipendenza venga da una terra tra le più ricche di Spagna, che già dispone di una vasta autonomia, quasi da stato federale. L’egoismo territoriale è dietro l’angolo. Non meraviglia di sentire tra gli slogan indipendentisti che la ricchezza della Catalogna deve rimanere in Catalogna. Proprio questo dovrebbe farci riflettere. Il 22 ottobre si voterà in Lombardia e Veneto per due referendum, il cui obiettivo ultimo è puntare all’ampliamento dei poteri delle due regioni, con forme particolari di autonomia. È una vicenda ben diversa da quella catalana, trattandosi di un procedimento disciplinato dall’articolo 116, comma 3, della Costituzione. Nessuno strappo, e tutto nella legalità. Ma proprio per questo i due referendum sono inutili. Per partire, bastava una delibera di giunta regionale, o al più una mozione votata in consiglio. Allora, perché spendere milioni per una cosa che si può fare gratis? Probabilmente, è una mano nella partita delle prossime elezioni politiche. Non a caso, tutti i maggiori players in campo si sono dichiarati a favore, e possiamo dunque prevedere un risultato plebiscitario. Se andrà così, il tema sarà certamente all’odg nei programmi dei partiti e nel voto 2018. Fin qui, tutto normale. Il problema lo cogliamo considerando che, secondo l’articolo 116 della Costituzione, con i maggiori poteri vanno maggiori risorse. Siccome la torta è sempre la stessa, maggiori risorse ad alcune regioni ai tradurrà inevitabilmente in minori risorse alle altre. Alla fine, qualcuno avrà di più, qualcuno avrà meno. Dunque, possiamo aspettarci che nel nostro paese si avvii a breve un confronto in cui verranno ridiscusse e forse rideterminate le ragioni fondamentali di scambio tra territori. Dove e come si collocano Napoli, la Campania, il Sud? Chi ne tutelerà gli interessi? Non serviranno certo bandiere e slogan. Piuttosto, abbiamo un ceto politico in grado di capire quel che accade, e orientare il corso degli eventi? Purtroppo, no. Le politica napoletana e campana ci ha mostrato anche da ultimo un Pd in disfacimento. Si leggeva, nelle cronache, solo la selva oscura, aspra e forte, di legami e collegamenti: questo con quello, quello con quell’altro, uomo di Tizio, donna di Caio. Colpiva, invece, la mancanza di progetto politico e di idee per il futuro, oltre che l’assenza di vera leadership e la generale pochezza dei partecipanti. Identico quadro presentava, pochi giorni addietro, il centrosinistra siciliano nelle convulse ore prima della presentazione delle candidature per le regionali. Da quanto si è letto, una confusa corrida e uno scontro di clan e di cordate. Tutti contro tutti. Si dirà: ma non esistono solo Pd e centrosinistra. Vero. Ma nel centrodestra possibile vincitore nel voto 2018 l’azionista di maggioranza sarà probabilmente la Lega, soprattutto con il Rosatellum 2.0. E il mantra della Lega prima maniera era appunto che i soldi lombardi dovevano rimanere in Lombardia. Si davano anche percentuali di riparto tra centro e periferia, con insulti per i terroni succhiasangue. La Lega sovranista e in doppiopetto di oggi si mostra più soft, ma la sostanza rimane. Quanto a M5S, non sappiamo se ha un progetto politico degno di questo nome, oltre che un leader con investitura. E la sinistra più a sinistra non sappiamo se vedrà la luce in forma elettoralmente competitiva. L’ultimo dissolvimento delle forme organizzate e stabili della politica è l’eredità velenosa dell’ultimo ventennio. Un effetto in specie aggravato, per il Pd, dal renzismo. La legge elettorale in discussione non migliorerà questo stato di cose. Quindi, lasciamo perdere bandiere e slogan. Il nostro problema è avere un ceto politico e istituzioni capaci di rappresentare Napoli e il Sud, e di essere effettivamente competitivi sul piano nazionale. In questo paese avremmo bisogno di qualche statista in più, e molti rampanti politici di periferia in meno. E De Luca? Un personaggio notevole, indiscutibilmente. Può piacere o meno. Se ne possono – o no - condividere e apprezzare i metodi, fritture di pesce incluse. Ma una cosa è certa. Non è uno statista.
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